Approderà sul tavolo del prossimo Consiglio dei ministri, da tenersi prima di Natale, la riforma del Csm e della legge sull’ordinamento giudiziario, la terza del “pacchetto giustizia” del governo Draghi dopo quelle – già approvate – del processo civile e penale. Durante tutta la giornata di giovedì, la ministra Marta Cartabia ha tenuto un secondo giro di incontri con i responsabili di settore dei partiti (il primo era stato la settimana scorsa) annunciando che il testo non sarà blindato ma aperto a modifiche del Parlamento: dal punto di vista formale si tratterà di emendamenti governativi al disegno di legge dell’ex ministro Alfonso Bonafede, già incardinato in Commissione Giustizia alla Camera. Le norme più attese – dopo il caso di Catello Maresca, allo stesso tempo giudice e consigliere comunale a Napoli – sono quelle sul divieto di “porte girevoli” tra politica e magistratura: con il leader M5s Giuseppe Conte che chiede di confermare l’impianto del ddl Bonafede, con l’incompatibilità tra i due ruoli e il divieto per un magistrato che si candida (o viene eletto) di tornare a svolgere funzioni giudiziarie, almeno per un certo periodo. “Terzietà e indipendenza della magistratura sono i nostri irrinunciabili capisaldi. Il giudice deve essere e apparire terzo: perciò diciamo stop alle porte girevoli”, twitta.

Tra le anticipazioni diffuse nei giorni scorsi, la più criticata è l’ipotesi di un sistema elettorale binominale maggioritario per i componenti “togati” dell’organo di palazzo dei Marescialli, che renderebbe quasi impossibile l’elezione di candidati non supportati dalle correnti. In ognuno dei sette collegi (quattro per i giudici di merito, due per i pm e uno per i magistrati di Cassazione) passerebbero infatti soltanto i primi due classificati con l’aggiunta dei due migliori terzi. Per contenere questo effetto la ministra sta pensando di aumentare a 20 – dai 16 attuali – il numero dei membri del Csm eletti dai magistrati, il che permetterebbe di eleggere tre (e non più due) migliori terzi, rimpicciolendo i collegi e aumentandone il numero a cinque per i giudici di merito e due per i pm, tutelando di più le minoranze. Specularmente, anche i consiglieri “laici” (quelli eletti dal Parlamento) salirebbero da otto a dieci, per rispettare la proporzione.

Per i consiglieri Sebastiano Ardita e Nino Di Matteo, il sistema ipotizzato da Cartabia “farà sparire ogni possibile opposizione allo strapotere delle correnti che sottometteranno definitivamente i magistrati liberi che sono la maggioranza. Sarebbe il trionfo del correntismo e del bipolarismo che provocherà ulteriori spaccature e conflitti”. Ma a criticare il progetto di riforma sono anche (quasi tutte) le correnti stesse, dai progressisti di Area (che parlano di un testo “molto lontano dalle attese”, che “perpetra dinamiche di sostanziale designazione degli eletti”) ai “davighiani” di Autonomia e Indipendenza, secondo cui la nuova legge “verrebbe a sopprimere il pluralismo di vedute all’interno del Csm contribuendo a realizzare una sorta di bipolarismo giudiziario destinato a ideologizzare la magistratura”.

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