Un’ipotesi di riforma “molto lontana dalle attese” e dall’esigenza di “rimuovere le cause della deriva correntista e clientelare drammaticamente emersa negli ultimi due anni”. Anche le toghe progressiste di Area si scagliano contro il progetto di legge elettorale per il Consiglio superiore della magistratura (Csm), le cui linee essenziali sono state diffuse dal ministero della Giustizia. L’idea della Guardasigilli Marta Cartabia è un sistema maggioritario binominale a turno unico per l’elezione dei membri togati, 16 sui 27 totali: in ogni collegio passerebbero i due candidati che ottengono più voti. Un meccanismo che per i consiglieri Sebastiano Ardita e Nino Di Matteo “farà sparire ogni opposizione allo strapotere delle correnti” e che ha già incontrato le critiche di Articolo 101, il gruppo di magistrati nato in opposizione al correntismo. Ora al coro di contrari si aggiunge la voce della maxi-corrente di sinistra, che, pure, sarebbe probabilmente avvantaggiata dal nuovo sistema: l’ipotesi Cartabia “perpetra dinamiche di sostanziale designazione degli eletti da parte delle correnti o dei potentati locali che a volte in esse operano”, è il netto giudizio espresso in una nota.

“Per assicurare la qualità” degli eletti, scrivono i magistrati di Area, “è necessario un sistema nel quale gli elettori abbiano possibilità di scelta tra un numero ampio di candidati, soprattutto per stimolare la candidatura dei colleghi più stimati professionalmente e moralmente”. Mentre “un sistema quale quello indicato dalla ministra, caratterizzato da collegi maggioritari binominali di grandi dimensioni, induce a restringere al massimo la platea dei candidati”, poiché solo chi ha alle spalle i gruppi organizzati più forti potrà sperare di essere eletto. “Questo è tanto evidente”, si legge nel documento, “che il sistema prevede, per compensare questo maleficio, un irrazionale sorteggio di candidati al fine di ampliare la rosa (se non si raggiungono almeno sei candidature in ogni collegio, ndr) come se i candidati sorteggiati avessero una reale capacità competitiva e non esaurissero il loro ruolo in quello di meri simulacri di una pluralità di fatto inesistente“.

In questo modo, secondo Area, sarebbe “sostanzialmente precluso il pluralismo dell’autogoverno, ivi inclusa la possibilità di candidature estranee alle correnti”. Un sistema come quello ipotizzato, infatti, “determina che gli eletti saranno tutti riferibili ai due gruppi associativi che raccolgono i maggiori consensi” (cioè, presumibilmente, Area e i conservatori di Magistratura indipendente), “così lasciando fuori le altre identità culturali. Questo effetto, assolutamente prevedibile, è estremamente dannoso in un organismo che non è sottoposto alle regole della governabilità ma a quelle della rappresentatività”. E non è l’unico rischio: “Un Consiglio nel quale vi siano due gruppi contrapposti che, alternativamente, acquisiranno una maggioranza relativa di scarsa misura, verrà di fatto dominato dagli eletti dal Parlamento, che costituiranno il vero ago della bilancia”, avverte Area. “Questa dinamica rischierà di aumentare il peso della politica e dei partiti sulle scelte del Csm, prime tra tutte quelle relative alle nomine dei direttivi, con effetti potenzialmente lesivi dell’autonomia ed indipendenza dei nominati”.

Anche secondo Autonomia e Indipendenza, il gruppo fondato da Piercamillo Davigo che esprime tre consiglieri al Csm (tra cui Ardita) “si tratterebbe di modifiche non risolutive delle indebite ingerenze politico-correntizie nelle nomine dei procuratori, emerse a seguito dello scandalo dell’Hotel Champagne. Paradossalmente, anzi – recita il comunicato della corrente – aumenterebbe il rischio di un rafforzamento di tutti quegli elementi di sistema che la riforma vorrebbe combattere. La persistente presenza di un sistema maggioritario rafforzato dalla presenza di collegi binominali, con modestissimi correttivi proporzionali, verrebbe infatti a sopprimere il pluralismo di vedute all’interno del Csm contribuendo a realizzare una sorta di bipolarismo giudiziario destinato ad ideologizzare la magistratura ed a renderla definitivamente subalterna ai gruppi politici”.

Duro contro il progetto anche il comunicato di Magistratura democratica, storica corrente di sinistra, già componente di Area (da cui è fuoriuscita di recente). Il gruppo, vi si legge, “sente di dover esprimere fin d’ora il suo dissenso più netto rispetto a questo sistema di elezione di un organo che non ha necessità, per il suo funzionamento, di garantire la formazione di una stabile maggioranza. Dissenso ancora più marcato perché la proposta non persegue e tantomeno garantisce né il necessario pluralismo della rappresentanza dei magistrati in Consiglio, né un’adeguata rappresentanza di genere. E, paradossalmente, il sistema proposto conduce a risultati esattamente opposti alle finalità dichiarate di eliminare “il potere delle correnti”, che sceglieranno per ciascun collegio “il” candidato, concentrando su questo le preferenze, in modo da farlo arrivare almeno secondo”. Secondo Md “ci troviamo di fronte a un grave passo indietro rispetto alle proposte susseguitesi negli ultimi anni”, inclusa quella presentata a giugno dalla Commissione presieduta dal costituzionalista Massimo Luciani, “peraltro istituita e nominata proprio dalla Ministra in carica”.

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