Una nuova accusa pende sulla testa della Consigliera di stato destituita della Birmania, Aung San Suu Kyi. Il nuovo regime militare che ha conquistato il potere il 1 febbraio 2021 e che, dopo l’arresto, ha preso di mira l’ex leader con una serie di procedimenti legali, questa volta l’ha incriminata per “frode elettorale” durante le elezioni legislative del 2020 nelle quali il suo partito ha vinto con una larga maggioranza. Insieme a lei, come hanno annunciato i media nazionali, le accuse hanno colpito anche 15 alti funzionari, tra cui l’ex presidente della Repubblica, Win Myint, anche lui arrestato durante il colpo di Stato militare, saranno perseguiti per lo stesso reato.

Da mesi la leader birmana, inizialmente finita in manette e incriminata con l’accusa di violazione della legge sull’import-export per aver importato illegalmente dei walkie-talkie, è uscita dal carcere e si trova agli arresti domiciliari, dove nel frattempo ha accumulato una serie di accuse penali che vanno dalla rivelazione di segreti di Stato alla violazione delle restrizioni per il coronavirus. Accuse che, se confermate da una sentenza di tribunale, potrebbero costarle fino a 14 anni di reclusione.

Nel frattempo, la giunta militare sta portando avanti il progetto di smantellamento del precedente esecutivo. A maggio, infatti, è stato sciolto per via giudiziaria il suo partito, la Lega nazionale per la democrazia (Nld), con la stessa accusa usata per motivare il colpo di Stato: brogli alle elezioni dello scorso novembre, dove l’Nld aveva trionfato come nel 2015.

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