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Birmania, Aung San Suu Kyi in carcere per dei walkie-talkie “importati illegalmente”: rischia fino a 2 anni. G7: “Liberare i detenuti”

Sono queste le accuse mosse dalla polizia nei confronti della leader birmana, in prigione dopo il golpe militare dell'1 febbraio scorso. Intanto è polemica per le rivelazioni della Bbc secondo cui la Cina ha messo il veto sulla risoluzione dell'Onu per condannare il colpo di Stato. Pechino: "Perplessi per la circolazione dei documenti"
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Violazione della legge sull’import-export, nello specifico per aver importato illegalmente dei walkie-talkie. È questa l’accusa mossa dalla polizia nei confronti del capo del governo birmano, Aung San Suu Kyi, destituita dopo il colpo di Stato militare del 1 febbraio, e per la quale la leader premio Nobel per la Pace rischia fino a due anni di carcere. Secondo quanto riportano i media locali, le radio portatili sono state trovate durante una perquisizione della sua residenza ed erano utilizzate dalle sue guardie del corpo.

Aung San Suu Kyi si trova già in carcere da quando il generale Min Aung Hlaing è salito al potere e un tribunale birmano “ha ordinato la sua detenzione provvisoria per un periodo di 14 giorni, dall’1 al 15 febbraio”, come scrive su Facebook Kyi Toe, portavoce della Lega nazionale per la democrazia (Lnd). L’ex presidente Win Myint è invece stato accusato di aver violato la legge sulla gestione delle catastrofi naturali, ha aggiunto il portavoce.

A livello internazionale è scoppiata invece la polemica per la presunta opposizione della Cina alla risoluzione Onu che condanna il golpe militare nel Paese asiatico. Secondo quanto riporta la Bbc, il Consiglio di sicurezza non è riuscito a concordare una dichiarazione congiunta dopo che Pechino, che è membro permanente e ha quindi diritto di veto, non l’ha appoggiata. La ricostruzione non è piaciuta alla Repubblica Popolare: “La Cina è perplessa e stupita dalla fuga di un documento interno in discussione al Consiglio di sicurezza dell’Onu”, ha commentato il portavoce del ministero degli Esteri Wang Wenbin. Le affermazioni secondo le quali la Cina potrebbe sostenere i conflitti interni in Birmania “non corrispondono alla realtà”, ha aggiunto.

“La comunità internazionale dovrebbe creare un ambiente esterno solido per il Myanmar al fine di risolvere adeguatamente i conflitti”, ha poi osservato Wang, parlando nel corso della conferenza stampa quotidiana. Il portavoce ha ribadito la posizione della Cina che “spera che tutte le parti in Myanmar possano gestire adeguatamente le loro differenze nell’ambito del quadro costituzionale e legale e mantenere la stabilità politica e sociale”.

Anche i ministri degli esteri del G7, in un comunicato congiunto, si sono detti “profondamente preoccupati”, esortando i militari a porre fine “immediatamente” allo stato di emergenza nel Paese. “Siamo profondamente preoccupati per la detenzione di leader politici e attivisti della società civile, tra cui il Consigliere di Stato Aung San Suu Kyi e il presidente Win Myint, e per l’attacco ai media“, hanno affermato i ministri di Italia, Francia, Germania, Regno Unito, Stati Uniti, Canada e Giappone. “Chiediamo ai militari di porre immediatamente fine allo stato di emergenza, ristabilire il potere del governo democraticamente eletto, liberare tutti coloro che sono stati ingiustamente detenuti e rispettare i diritti umani e lo stato di diritto”, hanno poi concluso.

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