Aung San Suu Kyi, deposta dalla giunta militari, è ai domiciliari da febbraio, da quando il colpo di Stato dell’esercito l’ha estromessa da qualsiasi carica governativa. Non la si è più vista dal giorno del golpe, non le è concesso nemmeno incontrare di persona i suoi avvocati ed è in attesa di processo per svariati presunti reati che vanno dalla rivelazione di segreti di stato alla violazione delle restrizioni per il coronavirus, accuse che potrebbero costarle fino a 14 anni di reclusione. E mentre lei resta reclusa, la giunta militare ha deciso di sciogliere per via giudiziaria il suo partito, la Lega nazionale per la democrazia (Nld), con la stessa accusa usata per motivare il colpo di stato: brogli alle elezioni dello scorso novembre, dove l’Nld aveva trionfato come nel 2015.

L’annuncio è stato dato dall’agenzia birmana Myanmar Now citando il generale Thein Soe, presidente della Commissione elettorale nominata dalla giunta, al termine di un incontro con altri partiti boicottato dall’Nld e da altri movimenti politici. “Dovremo revocare la registrazione del partito”, ha detto Thein Soe, aggiungendo che i responsabili dei brogli elettorali “saranno considerati traditori” contro cui saranno intraprese azioni legali.

Neanche la dittatura militare che tenne prigioniera Suu Kyi per 15 anni era arrivata a tanto. Fondata durante le rivolte studentesche del 1988, la Lega nazionale per la democrazia stravinse le elezioni del 1990, non riconosciute dalla giunta. Nonostante pesanti restrizioni e sempre sotto l’occhio vigile degli informatori dell’esercito, il partito aveva però comunque continuato a operare in una modesta casa dai muri scrostati, non lontano dalla villa di Suu Kyi a Yangon. Uno scioglimento era arrivato nel 2010 per il rifiuto di partecipare alle elezioni che l’allora giunta indisse per instradare il Paese verso la ‘democrazia disciplinata’ attentamente pianificata dai militari, ma un anno dopo all’Nld fu concesso di ricostituirsi.

Il generale Min Aung Hlaing, autore del golpe di febbraio, sta procedendo al metodico sradicamento di qualsiasi principio di democrazia in quel sistema ibrido creato dai suoi predecessori alla guida delle forze armate. Il colpo di stato serviva per riportare in carreggiata un sistema viziato da vasti brogli elettorali dell’Nld, aveva detto Min Aung Hlaing promettendo elezioni il prossimo anno. Ma da allora si contano almeno 800 morti nella sanguinosa repressione delle proteste, dissidenti vengono prelevati e fatti sparire da scagnozzi del regime, e ora il partito-simbolo della lotta per la democrazia sarà consegnato al passato. Se mai Aung San Suu Kyi sarà rimessa in libertà, sarà la leader di un partito – e di una Birmania – che non esiste più.

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