L’esultanza di diversi resoconti giornalistici riguardo al primo sabato in cui le manifestazioni no green pass sono state confinate fuori dai centri cittadini è fuori luogo. Non dovremmo essere felici per il fatto che il ministro dell’Interno è riuscito a far passare un provvedimento del genere senza incontrare nessuna resistenza, al netto della condivisibile e diffusa contrarietà ai contenuti di queste manifestazioni.

Esprimersi per la protezione dell’agibilità politica negli spazi urbani non implica infatti in alcun modo condividere le idee di chi va in piazza contro i vaccini nascondendosi dietro lo slogan del green pass (minimizzando o negando contestualmente l’esistenza e gli effetti della Covid-19, o offendendo sistematicamente la memoria delle vittime nei campi di sterminio). È giusto opporsi alla profonda inconsistenza e pesante ambiguità politica di un simile movimento, ma al tempo stesso – io credo – avversare le scelte del Viminale, che non ha brillato, guarda caso, quando si trattava di proteggere concretamente la sede della Cgil dai fascisti che dirigono gran parte di queste manifestazioni.

La decisione viene motivata con la necessità di “evitare danni ai commercianti”. È un argomento che si potrebbe usare, e in effetti si è sempre usato, contro tutti i movimenti di piazza. Non dobbiamo sacrificare invece per nessun motivo la libertà di manifestare sull’altare dei calcoli economici di una minoranza, tanto più se è una categoria – esercenti e ristoratori – che era in prima fila a chiedere riaperture l’inverno scorso con cortei in centro, quando in Italia morivano 500 persone al giorno e quasi nessuno era ancora vaccinato.

Si parla spesso di diritti, esistenti o di facciata, in contraddizione gli uni con gli altri. Ci si chiede – spesso è inevitabile – quale debba prevalere. Ebbene, rispetto al diritto dei commercianti di guadagnare qualche euro in più, quello di esprimere pubblicamente e apertamente il proprio pensiero è prioritario (non vale per il pensiero dei fascisti, ma questa misura non è diretta contro di loro).

Già l’idea di relegare ciò che si considera anti-economico nelle periferie la dice lunga sull’idea di società e di città che il governo ha in mente; si consideri inoltre che presto potrebbero nascere movimenti più intelligenti di quello attuale, contro lo sblocco dei licenziamenti e le sperequazioni del Pnrr, per maggiori fondi proprio alle periferie, ai disoccupati, alla scuola e alla ricerca, o contro il razzismo e le prossime guerre, per non parlare di quelli sul clima che già riprendono. Chi dissente deve sempre poter attraversare lo spazio pubblico e andare in centro, comunicare ed essere ascoltato.

Si fa riferimento ai focolai che alcuni di questi eventi hanno prodotto. Non mi sembra però che gli assembramenti siano confinati ai cortei. Molti anti-vaccinisti sono cattolici, eppure le chiese restano sempre aperte, anche in epoca pre-vaccinale, quando biblioteche e teatri erano chiusi; né ai fascisti viene impedito di assembrarsi nei settori che occupano negli stadi. Cosa ha di diverso, inoltre, la calca dello shopping da un corteo? È sempre stato il sogno delle burocrazie poliziesche: commercianti che si lamentano, sindaci e questori riuniti in “comitati per la sicurezza e l’ordine pubblico” che gli danno ragione, poi manganellate e identificazioni di massa. Sento parlare di “centri storici”, espressione tanto altisonante quanto subdola, poiché allude a uno “sporco” piuttosto astratto che i manifestanti porterebbero vicino alla cristalleria eterea del patrimonio nazionale, mentre si tratta di far spazio a consumatori e turisti che non sono né più né meno un pericolo per i monumenti dei manifestanti di qualsiasi risma.

Non facciamoci ingannare: questo provvedimento non ha nulla di etico né di realmente emergenziale, e non ci protegge da nulla se non dai noi stessi. Ritengo che si tratti di un uso politico della pandemia, che si affiancherà e sovrapporrà purtroppo sempre più alle misure – contraddittorie e insufficienti ma pur sempre necessarie – per l’emergenza autentica. La pandemia non è finita, è vero (qui e ancor più lontano da qui, dove le vaccinazioni se le sognano), ma la logica capitalistica, che Confesercenti e Confcommercio incarnano in pieno sia quando manifestano contro i lockdown che quando inveiscono contro i cortei, ha la tendenza a trasformare ogni emergenza di fatto in emergenza di mero diritto; il che significa approfittare di una tragedia nazionale per convincerci che l’unica libertà che debba essere tutelata è quella di consumare.

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