In Italia siamo abituati a una stampa che esalta Mario Draghi anche se va dal salumiere, al supermercato, o se cucina da sé il brasato. Ma l’attuale presidente del consiglio non ha avuto vita sempre così facile all’estero: alla vigilia e durante il suo mandato al vertice della Banca centrale europea è stata soprattutto la stampa tedesca ad attaccare, speso con toni accesi e politicamente scorretti, l’economista accusato di essere troppo morbido nei confronti dei paesi non “frugali”

“Per favore non questo italiano! Mamma mia, per gli italiani l’inflazione è un modo di vita, come la salsa di pomodoro sulla pasta!”, titola la Bild quando si fa il suo nome per la presidenza della Bce. Ma Draghi è un uomo attentissimo ai rapporti con la stampa, che cura personalmente e con discrezione. Telefona a Carlo De Benedetti, con cui ha una frequentazione di vecchia data, e grazie ai buoni uffici del finanziere/editore incontra l’editore della Bild. Il quotidiano popolare finirà così per fotografarlo con in testa un elmetto prussiano definendolo nell’aprile del 2011 “il più tedesco dei candidati alla banca centrale”.

È solo uno degli aspetti approfonditi nella lunga inchiesta collettiva di FQ MillenniuM, il mensile diretto da Peter Gomez, nel numero in edicola da sabato 16 ottobre (l’inchiesta è firmata da Ivo Caizzi, Fabrizio d’Esposito, Carlo Di Foggia, Luigi Franco, Marco Palombi, Fabio Pavesi, Mario Portanova, Thomas Mackinson). Quasi un libro, in cui vengono raccontate in dettaglio le “Cinquanta sfumature di Draghi”, le sue luci e le sue ombre, queste ultime regolarmente rimosse dalla grottesca estasi mediatica che ne ha accompagnato l’arrivo a palazzo Chigi. Ecco qualche “pillola” relativa a questa fase della sua carriera (leggi le anticipazioni precedenti sul giovane Draghi, sugli anni al Tesoro, sul passaggio in Goldman Sachs e sul mandato al vertice di Bankitalia).

Luci e ombre. Sotto la sua presidenza si snoda la drammatica crisi della Grecia. L’allora ministro delle Finanze di Atene Yanis Varoufakis lo accuserà ripetutamente di aver contribuito a strangolare il Paese, diffondendo anche gli audio di alcune riunioni dell’Eurogruppo del febbraio 2015. Dall’altro, con il celebre “whatever it takes” pronunciato a Londra il 26 luglio 2012, Draghi è consacrato agli occhi dell’Europa e non solo come “l’uomo che ha salvato l’euro”. Tutti temi approfonditi nell’inchiesta di FQ MillenniuM, come anche il caso della lettera della Bce all’Italia che accelererà la caduta dell’ultimo governo guidato da Silvio Berlusconi, nel novembre 2011.

Lo stesso Berlusconi si vanterà di di aver “imposto Draghi a capo della Bce, contro Tremonti che era contrario e contro Sarkozy”. Le cose andarono diversamente e la nomina fu giocata su altri tavoli, come leggerete sul nostro mensile. Fatto sta che il 4 agosto 2011, quando Draghi è nominato ma non ancora insediato alla presidenza della Bce, a Palazzo Chigi scoprono che la l’istituto di Francoforte sta preparando una lettera formale da inviare a Roma in cui vengono elencati una serie di duri provvedimenti che i governo italiano dovrà prendere per fronteggiare lo spettro dello spread in impennata.

Che la “lettera della Bce” sia un programma indipendente dai voleri dell’elettorato lo dirà lo stesso Draghi il 7 marzo del 2013, all’indomani delle elezioni politiche: “L’Italia prosegue sulla strada delle riforme, indipendentemente dall’esito elettorale. Le riforme continuano come se fosse inserito il pilota automatico”. Commenterà Andrea Orlando, oggi ministro del Lavoro del Pd sempre con Draghi, alla festa del Fatto del 2016: “Stiamo vivendo un enorme conflitto tra democrazia ed economia. Oggi, sostanzialmente, i poteri sovranazionali sono in grado di bypassare completamente le democrazie nazionali. I fatti che si determinano a livello sovranazionale, i soggetti che si sono costituiti a livello sovranazionale, spesso non legittimati democraticamente, sono in grado di mettere le democrazie di fronte al fatto compiuto”. Un esempio? “Il pareggio di bilancio in Costituzione non fu il frutto di una discussione nel Paese, ma del fatto che a un certo punto la Bce, più o meno – ora la brutalizzo – disse: ‘O mettete questa clausola nella vostra Costituzione, o chiudiamo i rubinetti e non ci sono gli stipendi alla fine del mese’. Io devo dire che è una delle scelte di cui mi vergogno di più”.

(5. Fine)

Leggi le anticipazioni precedenti:

1) Gli esordi: un tecnico molto politico

2) Il Britannia e le privatizzazioni contestate

3) Goldman Sachs e il derivato maledetto

4) Gli anni in Bankitalia e il caso Mps

Leggi l’inchiesta completa su FQ MillenniuM di ottobre in edicola o in versione elettronica sul nostro shop

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