Il 7 settembre 2001, a 54 anni, Mario Draghi annuncia le dimissioni da direttore generale del Tesoro. Da qualche mese è tornato al governo Silvio Berlusconi e al ministero dell’Economia Giulio Tremonti, che nei negli anni successivi sarà un suo critico feroce. In un’intervista al Corriere, Draghi annuncia che tornerà “allo studio, probabilmente all’Università di Harvard. Anche per rispettare una regola che in questi anni ho imposto ai miei collaboratori, impedendo loro di passare direttamente dal Tesoro a incarichi in società o banche”. Cinque mesi dopo però vola a Londra e diventa vice presidente per l’Europa con deleghe operative della brande banca d’affari Goldman Sachs.

Ecco un altro punto controverso della carriera dell’attuale presidente del consiglio, ricostruito nella lunga inchiesta collettiva di FQ MillenniuM, il mensile diretto da Peter Gomez, nel numero in edicola da sabato 16 ottobre (l’inchiesta è firmata da Ivo Caizzi, Fabrizio d’Esposito, Carlo Di Foggia, Luigi Franco, Marco Palombi, Fabio Pavesi, Mario Portanova, Thomas Mackinson). Quasi un libro, in cui vengono raccontate in dettaglio le “Cinquanta sfumature di Draghi”, le sue luci e le sue ombre, queste ultime regolarmente rimosse dalla grottesca estasi mediatica che ne ha accompagnato l’arrivo a palazzo Chigi. Ecco qualche “pillola” relativa a questa fase della sua carriera (leggi le anticipazioni precedenti sul giovane Draghi e sugli anni al Tesoro). Perché Draghi stesso punta il dito contro le cosiddette “porte girevoli” fra i piani altissimi della pubblica amministrazione e incarichi di vertice nel settore privato, salvo poi imboccarle lui stesso. Le contestazioni arriveranno soprattutto dall’Europa, quando sarà candidato alla guida della Banca centrale europea.

Draghi sarà costretto a difendersi durante un’audizione davanti alla commissione per i Problemi economici e finanziari del Parlamento europeo. Sono due le accuse che nella seduta del 14 giugno 2011 gli muoveranno alcuni eurodeputati, tra cui il francese Pascal Canfin: di trovarsi in una situazione di conflitto d’interessi qualora salga al vertice della Bce e di aver lavorato per la banca che nel 2001 ha venduto alla Grecia un controverso swap, cioè un prodotto derivato che ha consentito ad Atene di truccare i propri conti. Lui ribatte di non avere nulla a che fare con quel derivato e di non aver mai essere stato incaricato da Goldman Sachs “di vender cose ai governi”, avendo lavorato solo “con il settore privato”.

Cosa abbia fatto realmente in Goldman Sachs è questione coperta dalla tipica riservatezza delle banche d’affari. Certo il comunicato con cui la top bank americana annuncia il suo reclutamento dice una cosa diversa: “Aiuterà a sviluppare affari con le grandi aziende europee, con i governi e con le agenzie governative internazionali”, si legge. Di fronte al Parlamento europeo lui replicherà di essersi tirato fuori dal business del settore pubblico appena assunto, ma non tutti gli crederanno: a cominciare da Canfin: “Dobbiamo immaginare che abbia avuto una discussione coi vertici di Goldman sul fatto che non poteva fare affari coi governi anche se era stato assunto proprio per questo? È molto strano. Gli swap non sono illegali, ma la domanda è: ha mentito di fronte al Parlamento europeo?”.

Il passato in Goldman Sachs dopo aver gestito le privatizzazioni italiane costerà a Draghi, nel 2008, una violenta invettiva del senatore a vita Francesco Cossiga dagli schermi Rai di Unomattina. Lo definirà “vile affarista” davanti a un terreo Luca Giurato. Seguirà addirittura un tapiro d’oro di Striscia la notizia che l’economista, diventato nel frattempo governatore della Banca d’Italia, accetterà con un sorriso, con tanto di buffetto finale sulla guancia al giornalista Valerio Staffelli.

(3. Continua)

Leggi l’inchiesta completa su FQ MillenniuM in edicola da sabato 16 ottobre

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