Il 17 gennaio 1991, quando Mario Draghi a 44 anni diventa direttore generale del ministero del Tesoro, il Corriere della Sera scrive che è stato scelto, oltre che per un “curriculum impeccabile”, anche perché è “un uomo di sicura fede Dc”. Esattamente trent’anni dopo, sarà chiamato alla guida di un governo “tecnico” sostenuto da tutti o quasi. Ma allora chi è davvero Mario Draghi? Un tecnico d’eccellenza? Certamente sì. Uno che ha saputo muoversi con destrezza e lungimiranza nei palazzi della politica? Anche, eccome. E poi: il capo del governo dei “migliori” ha davvero sempre brillato in ogni tappa della sua fulgida carriera, al Tesoro, in Goldman Sachs, alla guida della Banca d’Italia e della Banca centrale europea? A queste e altre domande risponde una lunga inchiesta collettiva di FQ MillenniuM, il mensile diretto da Peter Gomez, nel numero in edicola da sabato 16 ottobre. Quasi un libro, in cui vengono raccontate in dettaglio le “Cinquanta sfumature di Draghi”, le sue luci e le sue ombre, queste ultime regolarmente rimosse dalla grottesca estasi mediatica che ne ha accompagnato l’arrivo a palazzo Chigi.

Da oggi e per i prossimi giorni vi proporremo su ilfattoquotidiano.it alcune brevi pillole di questa biografia non autorizzata che potrete leggere integralmente da sabato su FQ Millennium. Cominciamo dalle origini. Per esempio dal 1963, quando un sedicenne Mario Draghi si presenta a casa di Guido Carli, allora governatore della Banca d’Italia, per consegnarli su incarico della madre un volume di tecnica bancaria scritto dal padre Carlo, appena scomparso. Carli resterà una figura centrale nella rete di relazioni che promuoverà la sua carriera. E’ lui a presentarlo al grande economista Federico Caffè, allora docente alla Sapienza, è lui il ministro del Tesoro quando, nel 1991, Draghi ne diventerà il direttore generale.

Alla Sapienza il futuro presidente della Banca centrale si laurea nel 1970 con una tesi che definisce “una follia” l’Europa unita dalla sola moneta. Proprio così sarà fatta, e proprio a lui molti decenni dopo toccherà difenderla con le armi della politica monetaria.

Draghi nasce keynesiano, cresce neoliberista, torna keynesiano quando l’élite, assediata dal sovranismo montante, ne fa il Mister Wolf chiamato a correggere i troppi errori commessi. Sfumature. Del resto a John Maynard Keynes, il grande teorico dell’intervento statale in economia, è attribuita la frase: “Quando i fatti cambiano, io cambio la mia opinione. Lei cosa fa, signore?”. Draghi l’ha citata davanti alla platea del Meeting di Rimini del 2020. Chi lo conosce bene, lo descrive come un uomo che è sempre stato totalmente disinteressato alla carriera politica e per niente entusiasta dei governi tecnici. Ma a un certo punto, evidentemente, i fatti sono cambiati.

(1. Continua)

Leggi l’inchiesta completa su FQ MillenniuM in edicola da sabato 16 ottobre

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