In Italia è partita da alcuni giorni la somministrazione della terza dose di vaccino anti-Covid ai soggetti più a rischio, ovvero i pazienti trapiantati e immunodepressi. Solo dopo aver valutato i dati e gli studi di definirà una eventuale estensione alla popolazione generale. Intanto negli Usa la Food and drug administration ha dato oggi il via libera al richiamo con il vaccino Pfizer per le persone dai 65 anni in su e per quelle fragili dopo che la commissione competente aveva discusso sull’opportunità di somministrare il booster agli under 65. Anche il comitato consultivo del Centers for Disease Control and Prevention ha approvato all’unanimità la terza dose del vaccino Pfzier per il Covid per gli over 65. Al momento, l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) si è pronunciata in relazione alle categorie da rivaccinare prioritariamente, ma per una più ampia estensione si attende la valutazione dell’Agenzia europea per i farmaci.

L’Ema si esprimerà sulla necessità “all’inizio di ottobre”. “Gli studi confermano che la terza dose aiuta nei casi di pazienti immunodepressi”, ha detto Marco Cavaleri, responsabile della task force per i vaccini e le terapie Covid-19 dell’Ema e che “gli effetti di immunizzazione declinano nel tempo”. La priorità per la salute pubblica, però, resta “completare il ciclo vaccinale per chi non lo ha ancora fatto“. “Alcuni Stati membri hanno iniziato a somministrare la terza dose a gruppi selezionati di persone per proteggere in modo proattivo i più vulnerabili in vista della stagione invernale. L’Ema riconosce pienamente le ragioni dietro tale decisione” ha aggiunto Cavaleri. L’Agenzia europea del farmaco Ema e altri enti regolatori del mondo si stanno muovendo secondo la linea di “non avere fretta nel dare il booster se non c’è una chiara indicazione che sia necessario. E stiamo seguendo rigorosamente questo percorso. Penso sia importante per noi basare la nostra decisione sulle evidenze e non su pressioni da parte di stakeholder”, portatori di interessi, “ed è quello che continuiamo a fare anche adesso”.

Intanto secondo un nuovo studio del Brigham and Women’s Hospital di Boston (Usa), pubblicato sul New England Journal of Medicine, la protezione dal Sars-Cov-2 offerta dal vaccino a mRNA rimane forte a 5 mesi dopo la seconda dose, mantenendo un’efficacia nei confronti di forme gravi, ma anche nei confronti di infezioni con sintomi lievi o asintomatiche. I dati dello studio, tuttavia, sono stati raccolti prima che la variante Delta raggiungesse gli Stati Uniti e quindi non informano completamente su come si comporta l’immunità quando il virus cambia. Un quadro di incertezza che spinge a velocizzare i richiami per i soggetti più fragili, mentre sta per prendere avvio da ottobre anche la campagna di vaccinazione contro l’influenza stagionale.

Lo studio su Nejm

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