Cinema

Festival di Venezia 2021, anche i divi piangono. Da Sorrentino alla Cruz, da Gyllenhaal alla Campion e Diwan: tutte le emozioni della premiazione

di Davide Turrini

Non ci resta che piangere. Piangono, piangono tutti, alla premiazione per il Leone d’Oro 2021. Piange Paolo Sorrentino, di certo non un tenerone, pronto a ricordare l’amicizia e la fiducia del suo produttore storico, Nicola Giuliano, quando il mondo intero nemmeno si accorgeva de L’uomo in più.

Piange come una fontana, e per parecchi minuti, Audrey Diwan, regista francese all’opera seconda, non proprio conosciutissima nel milieu art house europeo, ma molto attiva nelle organizzazioni femministe del settore, che con L’Evénement porta a casa un Leone d’Oro meritato e sorprendente, frutto di una scelta radicale di contenuto (l’aborto clandestino cercato con ostinazione) e stile (sta addosso, sulla pelle della protagonista del film determinata ad abortire).

Piange sommessa e gentile, con quegli occhioni languidi che si porta dietro dai tempi di Secretary, Maggie Gyllenhaal, non proprio l’ultima di Hollywood, che con un adattamento “greco” discutibilissimo di un romanzo di Elena Ferrante finisce pure a premio (un’Osella non si nega a nessuno).

Piangiucchia perfino Jane Campion, una signora dalla scorza durissima, che ha visto tanto di quel cinema passare sotto i ponti, perfino una Palma d’Oro per Lezioni di piano, e ora un Leone d’Argento alla Regia che a dirla tutta non sappiamo davvero da che parte osservare vista la non più brillante ispirazione e soprattutto perché di “regie” in Concorso ce n’erano di ben più meritevoli. Piange con lacrime calde e appassionate la splendida Penelope Cruz, vincitrice di una Coppa Volpi inappuntabile, anche lei dentro fino al collo del Concorso di Venezia 78, con ben due interpretazioni obiettivamente spettacolari (Madres Paralelas di Almodovar e Competencia Oficial di Duprat e Cohn) pur a livello di personaggi diametralmente agli antipodi. Piangono tutti i premiati, insomma. E vengono a ritirare i premi, soprattutto, perché fino a sette otto anni fa le star non tornavano mai per la serata finale.

Segno inequivocabile, la lacrima rubinetto e la presenza sincera in sala, che dalle parti del Festival di Venezia da diversi anni scorra un torrente bello tumultuoso di produzioni internazionali che contano (vedi l’attesa premiere di Dune) e che il Lido sia tornato di moda. Quest’anno non sarà stato presentato il titolo che va a vincere l’Oscar (Nomadland, Joker, Spotlight, Roma, Gravity, solo negli ultimi sei anni), ma tra titoli in Concorso e Fuori Concorso in questa edizione non si è trovata la famigerata sòla. Questo vuol dire che Venezia è diventata una tappa imprescindibile e benvoluta del circuito festivaliero internazionale. Telluride e Toronto possono aspettare la prima mondiale dei big di Hollywood, e Cannes, che con la scusa del Covid si è avvicinata fino quasi a sovrapporsi al Lido, non può far altro che iniziare e rincorrere. Dall’anno 10 dell’impero Barbera è tutto. E scusate se è poco.

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