Il naso schiacciato da pugile (quale è stato), il viso gommoso vagamente malconcio, e un sorriso malizioso che ha sedotto l’universo mondo. Jean Paul Belmondo è morto nella sua casa di Parigi. Aveva 88 anni. È stata l’icona maschile della Nouvelle Vague anni sessanta e poi l’interprete laconico, malleabile, dinoccolato e sexy di tanto cinema d’azione e di genere anni settanta/ottanta. Una figura di antieroe provocatorio e seducente che ha fatto sciovinisticamente a polpette gli stereotipi hollywoodiani. E fu proprio Jean-Luc Godard, padre padrino della nuova onda e distruttore teorico/pratico del “cinema di papà”, a coglierne le peculiarità attoriali poco canoniche quando lo volle in quello strano oggetto del desiderio feticistico della critica: Fino all’ultimo respiro. Era il 1960 e Belmondo aveva 27 anni. Fino a quel momento si era dedicato a tanto teatro (incontrando sul palco anche Anne Girardot) e a un po’ di boxe, addirittura pure a qualche particina in alcuni polpettoni perfino con Alain Delon, altra icona francese dell’epoca, più nemico che amico, ancora sconosciuto come lui.

Godard lo chiama che lui nemmeno se lo aspetta, anche perché Godard era solo un misterioso recensore dei Cahiers e Bébel, così venne soprannominato dai colleghi negli anni a venire, era stato gangster in un film con Lino Ventura e D’Artagnan in una miniserie tv francese. E niente, eccolo piccolo scapestrato e ilare criminale che ruba un auto e poi uccide un poliziotto, a sorridere, sigaretta in bocca, giacca e cravatta, di fianco a Jean Seberg sui grandi boulevard parigini. Fino alla scena finale, antispettacolare, iconica, della sua uccisione, mentre corre di spalle in mezzo alla strada. Gli spettatori furono oltre due milioni e arrivò perfino la copertina di Life. Da lì Belmondo prese letteralmente il volo fornendo oltretutto materiale malleabile e astratto per altri due titoli di Godard come La donna è donna e Pierrot le fou.

Il 1960 è anche l’anno de La Ciociara di Vittorio De Sica, di cui è co-protagonista con Sofia Loren, poi tra il 1961 e il ‘62 eccolo sui set di Jean Pierre Melville, maestro di tanto cinema d’azione e di registi come Tarantino e John Woo, sia in Leon Morin prete (la carica sexy che mette in questo personaggio è insuperabile) che ne Lo spione. Film che affermeranno questa sua autentica dote di recitazione carismatica con leggerezza e determinazione. Difficile stare dietro a una produzione che si interrompe seriamente solo nel 2001, l’anno in cui l’attore parigino finisce in fin di vita per un ictus. Belmondo lavorò infatti per registi popolarissimi in Francia come Henri Verneuil e Philippe De Broca, Louis Malle e René Clement. Non volle mai imparare l’inglese, si raccontava all’epoca, altrimenti Hollywood l’aveva chiamato. Solo che il ragazzo che si era ispirato alla sentimentalità galante di Jules Berry non poteva che rimanere sul suolo patrio e svettare.

La svolta avviene nel 1970 quando Alain Delon, da produttore e co-interprete, vuole condividere in coppia il set. Interpreterà Capella, e Delon nientemeno che Sifredi, due gangster che diventano i boss del mercato del pesce e della carne a Marsiglia. I due sul set rigano dritto (dirige Jacques Deray), ma poi Delon produttore finite le riprese manda al diavolo più volte Belmondo, sottolineandone anche un comportamento un po’ bizzoso. Fatto sta che Delon continua la sua carriera (che lo porterà curiosamente a Godard negli anni ottanta) con la sua casa di produzione, mentre Belmondo si afferma definitivamente per un cinema d’azione scanzonato e coinvolgente (L’erede, Le magnifique) sulla falsariga del grande successo del ’64, L’uomo di Rio, un cinema che vuole essere popolare e commerciale, lontano dalla Nouvelle Vague, più performativo a livello fisico e ironicamente più da clown.

Il grande rifiuto, oltre a Hollywood, rimarrà comunque la parte principale in Fahrenheit 451 di Truffaut con cui lavorerà ne La mia droga si chiama Julie. Quattro figli, sposato due volte, legato ufficialmente anche ad Ursula Andress e Laura Antonelli, Belmondo ha lavorato con tutte le più grandi attrici della sua epoca: da Jean Moreau a Claudia Cardinale, fino a Catherine Deneuve, Francois Dorleac e Gina Lollobrigida. La Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia lo aveva premiato nel 2016 con un Leone d’Oro alla Carriera (quando in carriera strappò un misero Cesar e si sa che avrebbe avuto voglia di ricevere un premio a Cannes per l’interpretazione di Stavinsky di Alain Resnais) che lui ritirò sorridente, felice, ma anche parecchio distaccato da ogni possibile idea di aneddotica o ricordo dei tempi che furono. Già negli anni ottanta rimase celebre una sua intervista a Cinemas Cinema dove parlò soltanto dei film brutti interpretati e sul declino della sua carriera. Mentre scriviamo queste righe Alain Delon, nemico/amico di una vita, che si era riunito a Belmondo nel 1988 in Une chance sur deux ha dichiarato: “Sono devastato. Non sarebbe stato male se ce ne fossimo andati insieme”. Probabile che Belmondo sarebbe stato d’accordo.

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