Gli scaffali di broccoli e cavolfiori sono completamente vuoti, poche banane colorano il desolato banco della frutta mentre un solitario pacco di spaghetti campeggia nel settore pasta. “Sorry, non ci sono sono arrivate consegne” ci dicono in un grosso supermercato della capitale britannica, dove sembrano essere spariti anche sconti e offerte speciali. Il refrain si ripete ormai da due mesi. A luglio McDonald ha dovuto addirittura eliminare i frappé dal menu perché a corto di latte. E in 1.250 dei suoi ristoranti anche altre bibite sono diventate irreperibili.

Le vacanze dei britannici stanno coincidendo con il pasticcio del momento: il micidiale combinato disposto di Covid-19 e Brexit che ha spinto molti camionisti, principalmente europei, a lasciare l’attività e a non fare più ritorno sull’isola ormai sparita dalla mappa dell’Unione Europea. E con la pressione su aziende e produttori, al rientro dalle ferie i consumatori britannici trovano uno shopping più salato. Il problema, a cascata, sta infatti cominciando a colpire le tasche dei consumatori. Secondo le ultime statistiche del British Retail Consortium (BRC), tra luglio e agosto i negozi del Regno hanno registrato un aumento dei prezzi dello 0,4%, una crescita guidata dal settore non alimentare che ha toccato il +0,6% anche a causa della crisi dei microchip.

UN ESERCITO DI TRASPORTATORI VOLATILIZZATO – L’associazione di categoria Logistics UK stima che in Regno Unito manchino circa 100mila camionisti di cui 25mila provenienti dalla Ue. Questo nonostante si sia tentato di attirare personale alzando gli stipendi in percentuali tra il 10% e il 25%. Alcune grosse catene di supermercati si sono anche spinte ad offrire un bonus da mille sterline a chi si presenta per fare il camionista cercando di far appello anche al cuore dei candidati con un annuncio tattico: “Avrai un ruolo vitale per i nostri clienti e per la comunità, rappresenterai Tesco sulle autostrade e per le strade del Regno Unito”. Ma con il nuovo boom degli acquisti online, difficile competere con operatori come Amazon.

ABBASSO LA BREXIT – La carenza di forza lavoro sta investendo molti settori essenziali dell’economia britannica. Il problema dello stoccaggio delle merci ha impattato oltre un quarto (il 27%) delle imprese nei settori alimentare e dell’ospitalità, i comparti colpiti più duramente da questa crisi secondo l’Ufficio di statistica nazionale ONS. La difficoltà di reperire materiali sta colpendo anche il 15,4% delle imprese di costruzioni (che poi a gonfiano i prezzi ai consumatori) già messe in ginocchio dalla perdita di muratori dell’est Europa mentre una impresa manifatturiera su cinque ha dovuto cambiare fornitori. Uno studio di architettura londinese ci rivela per esempio che per ordinare mattoni la lista d’attesa varia dai 3-6 mesi, mentre per interruttori e prese si va dai 2 ai 4 mesi, e se il vetro – ci dicono – è diventato oro, i muratori chiedono 250 sterline al giorno.

L’industria delle carni, che impiega due terzi di personale straniero, ha perso 14mila dei suoi 95mila addetti. In agricoltura un buco di 70mila braccianti minaccia quest’anno di far marcire frutta e verdura sui campi. In generale dalla fine del 2019 al giugno di quest’anno il numero di cittadini europei impiegati in Regno Unito è sceso a 2,2 milioni, un calo del 5% su cui ha pesato la dipartita di un 24% di Rumeni e Bulgari (da 367.000 a circa 278.000) e il 12% dei cosiddetti EU8 (Repubblica Ceca, Estonia, Ungheria Latvia, Lituania, Polonia, Slovacchia e Slovenia). Adesso per lavorare anche stagionalmente sull’isola bisogna avere un contratto e di fatto il numero di cittadini comunitari che vi cercano opportunità è sceso del 36% dopo la Brexit.

Le organizzazioni di categoria stanno spingendo perché il governo Johnson promuova permessi di lavoro temporanei che consentano di reperire dall’Europa il mezzo milione di lavoratori mancanti. Gli appelli degli imprenditori però continuano a rimbalzare sulla scelta di Downing Street di favorire una strategia di lungo termine che si sta rivelando poco efficace nella crisi attuale: spingere le aziende a reclutare cittadini britannici e investire nella formazione di manodopera locale, come sta facendo per esempio a Londra la pizzeria Zia Lucia che ha creato corsi di formazione ad hoc per formare pizzaioli inglesi.

UN ALTRO NATALE ROVINATO? – In qualche modo i britannici ce la faranno a non morire di fame, ma a quale prezzo? Dopo che lo scorso anno la pandemia aveva privato le famiglie del calore di un cenone tutti insieme, quest’anno il Natale potrebbe vedere cene più leggere sulle tavole e meno regali sotto l’albero se è vero ciò che Gwynn Milligan, direttrice della catena di articoli per bambini JoJo Maman Bebe, ha rivelato alla BBC: “I prezzi sono destinati a salire e i clienti stanno già cominciando a fare gli acquisti natalizi perché il trasporto di giocattoli è nel caos”. Helen Dickinson, presidente della BCR (British Retail Consortium) mette in guardia: la battaglia che i negozi di prodotti alimentari stanno combattendo per contenere i prezzi non sarà sostenibile ancora per molto, perché la pressione sta montando per via dell’aumento dei costi di trasporto, dei prezzi delle materie prime, e della burocrazia legate alla Brexit. Il prezzo del cibo nei prossimi mesi è destinato ad aumentare, a Natale la situazione potrebbe peggiorare per i consumatori che potrebbero avere meno scelta e prezzi più alti per i loro prodotti preferiti”.

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