“Il sostegno umanitario devoluto alle Nazioni Unite dagli Emirati Arabi Uniti per la popolazione yemenita e il ritiro delle forze armate di Abu Dhabi dal conflitto yemenita sono una circostanza positiva alla luce della quale rilanciare le relazioni bilaterali, rivitalizzando la cooperazione politica, economica, militare e culturale in tutti i campi di comune interesse, anche superando misure restrittive precedentemente assunte”. Sono queste parole, contenute in un parere della commissione Esteri della Camera inviato al Parlamento europeo, che rischia di riaprire nuovamente la questione della revoca dell’esportazione di missili e bombe agli Emirati Arabi Uniti. Una decisione presa a gennaio dall’esecutivo Conte, dopo una risoluzione del Parlamento, e motivata con il ruolo svolto dal Paese, a capo della coalizione anti-Houthi insieme all’Arabia Saudita, nel conflitto yemenita, dove è stato dimostrato l’uso di bombe italiane per commettere crimini di guerra a danno della popolazione civile. Ma Erasmo Palazzotto, membro della commissione, frena: “Non si tratta di un atto di indirizzo”.

Ma oggi, scrive la commissione, le cose sono cambiate, alla luce di un disimpegno da parte di Abu Dhabi nel conflitto yemenita ravvisato dalle forze politiche. Va però ricordato che nei mesi scorsi il governo emiratino ha sottoposto l’Italia a forti pressioni che hanno contribuito a complicare ulteriormente i rapporti diplomatici tra i due Paesi. Non sono arrivate solo le limitazioni al commercio di altri prodotti tra Italia ed Emirati: innanzitutto Abu Dhabi ha deciso di chiudere la base militare di al-Minhad, snodo militare strategico per le missioni in Iraq, Corno d’Africa e Afghanistan, con i militari italiani costretti a tornare a casa. E successivamente si è assistito a un episodio che ha avuto una risonanza internazionale: in occasione della visita del ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, al contingente italiano in Afghanistan per la cerimonia dell’ammainabandiera, il Paese del Golfo ha vietato il sorvolo del proprio spazio aereo al volo che trasportava i giornalisti italiani al seguito della missione. Una decisione che costrinse i piloti a un atterraggio nell’aeroporto di Dammam, in Arabia Saudita, dove l’aereo rimase in attesa per circa tre ore prima di poter riprendere il viaggio. Comportamenti che, spiegò il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, erano dovuti non solo alla decisione italiana di revocare l’export di razzi e bombe verso gli Emirati, ma anche agli esiti negativi dei “casi Piaggio e Alitalia”, nel corso dei quali l’Italia “non è stata in grado di garantire a un investitore straniero quanto gli era stato assicurato”.

Ricatti e pressioni che sembrano aver sortito il risultato sperato. Già a inizio luglio, infatti, il governo italiano, attraverso la Uama (l’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento), ha deciso di togliere la clausola end-user certificate rafforzata sulla vendita di armi a Emirati e Arabia Saudita: la formula “rafforzata” consisteva in un impegno dei due Paesi, in fase di autorizzazione all’export, a non usare le armi acquistate dall’Italia (esclusi missili e bombe d’aereo, già colpite dalla sospensione) nel conflitto in Yemen. In sostanza, armi da fuoco e altri prodotti Made in Italy diversi da razzi, missili e munizionamento pesante, potevano tornare ad essere impiegate nel conflitto yemenita.

L’ultima proposta della commissione Esteri sembra andare proprio in quella direzione per tornare a buoni e proficui rapporti diplomatici e commerciali con gli Emirati Arabi. Ma al momento si tratta solo di un parere all’interno di una comunicazione al parlamento Ue e non di un atto di indirizzo, quindi non è sufficiente a cambiare l’orientamento del Parlamento. “Senza un atto ufficiale delle Nazioni Unite che dimostri il ritiro degli Emirati dal conflitto in Yemen, qualsiasi esportazione di armi verso quel Paese va considerata contraria alla legge 185 e alle risoluzioni del Parlamento”, ha infatti specificato a Ilfattoquotidiano.it il deputato di LeU e membro della commissione esteri, Erasmo Palazzotto.

Concetto simile a quello espresso anche dalla deputata Yana Chiara Ehm, prima firmataria, insieme alla collega del Pd Lia Quartapelle, della risoluzione del Parlamento del dicembre 2020 che ha impegnato il governo fermare l’export di bombe verso Abu Dhabi e Riyad: “Le due risoluzioni presentate in Parlamento ed approvate entrambe a larga maggioranza sono frutto di intenso lavoro e sono state determinanti nel dare un chiaro indirizzo politico, quello di dire no alla guerra e sì alla pace, in un conflitto che ha visto colpiti soprattutto donne e bambini e che ha provocato la peggior crisi umanitaria di sempre – ha dichiarato a Ilfattoquotidiano.it – Il ritiro ufficiale degli Emirati dal conflitto in Yemen sarebbe sicuramente un importante segnale che però dovrebbe essere ufficializzato da un atto delle Nazioni Unite. La legge 185/90, che ne disciplina la materia, come le risoluzioni approvate in Parlamento, parlano chiaro in questo senso”.

E anche le ong impegnate nel monitoraggio dell’export di armamenti chiedono chiarimenti: “Se davvero la situazione in Yemen è cambiata – commentano in una nota gli attivisti di Rete Italiana Pace e Disarmo – è auspicabile che la Commissione si esprima con una nuova mozione anche a seguito di audizioni con le nostre associazioni, alcune delle quali sono direttamente impegnate con aiuti umanitari nello Yemen. Ma va soprattutto detto con forza che proprio le numerose risoluzioni del Parlamento europeo (che per anni ha chiesto di imporre un embargo verso Arabia Saudita e UAE) e soprattutto le decisioni di vari Paesi europei, tra cui l’Italia, di revocare le licenze di forniture di armamenti hanno contribuito all’annuncio da parte degli Emirati di ritirarsi dallo Yemen. Questo dimostra che solo la revoca delle licenze decisa dal governo a seguito delle mozioni parlamentari e soprattutto delle reiterate richieste da parte delle nostre associazioni ha sortito l’effetto desiderato. Solo una politica che non si piega a indebite pressioni ma che mette rigorosamente in atto le norme stabilite dalle nostre leggi e dai trattati internazionali è in grado di portare Paesi belligeranti a rivedere il proprio atteggiamento assumendo una nuova e più responsabile postura nella scena internazionale”.

Twitter: @GianniRosini

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