Il cambiamento climatico legato al riscaldamento globale sta alterando la dinamica dell’acqua sul pianeta, in stragrande maggioranza in forma liquida: l’oceano. L’acqua salata dell’oceano diventa dolce quando cambia di stato, e i sali restano nell’acqua rimasta liquida. Con il caldo l’acqua oceanica evapora, sale e diventa nuvole, viene trasportata da correnti aeree generate da cambiamenti di temperatura, e poi torna giù come pioggia.

Di solito quando piove in Italia è l’acqua dell’Atlantico che ci bagna. Il freddo polare fa gelare l’acqua, il ghiaccio galleggia e l’acqua sottostante, carica dei sali perduti dall’acqua congelata, diventata pesante e affonda. Ai poli il freddo genera la discesa di acque superficiali, innescando un processo di circolazione oceanica, il “grande nastro trasportatore oceanico”, che connette tutti gli oceani in un unico grande sistema circolatorio. L’acqua profonda viene spinta verso l’alto dall’acqua che scende, e si scalda al sole: i processi di circolazione generano le correnti che ben conosciamo, come la Corrente del Golfo che porta acqua calda dal Golfo del Messico verso la parte settentrionale del continente europeo, mitigandone il clima.

Se i ghiacci polari, invece che formarsi, si sciolgono per il riscaldamento globale, il grande nastro trasportatore viene manomesso. L’acqua dolce del ghiaccio che si liquefà galleggia sull’acqua salata e la corrente di acqua molto salata e fredda che scende in profondità viene sostituita da una corrente fredda e poco salata che rimane in superficie, va incontro alla Corrente del Golfo e la rallenta, diminuendo il suo effetto mitigatore sul clima dell’Europa settentrionale. Il caldo, intanto, fa evaporare più acqua e le nuvole si caricano. Aumentano gli eventi estremi. Ovviamente se il ghiaccio si scioglie c’è più acqua nell’oceano: il livello del mare sale.

Questi cambiamenti non sono un male per il pianeta, ci sono sempre stati: potremmo dire che rimescolano le carte dell’evoluzione. Le nuove condizioni fanno andare in crisi le specie più abbondanti, monopolizzatrici della biodiversità, e favoriscono altre specie che prendono il loro posto. Oggi la specie di maggiore successo siamo noi, e abbiamo costruito il nostro benessere sulle condizioni climatiche che stiamo alterando. Perché siamo noi i maggiori responsabili del cambiamento, visto che tagliamo le foreste, diminuendo l’assorbimento di anidride carbonica e la produzione di ossigeno, e bruciamo tutte le forme possibili di combustibile, aumentando la produzione di anidride carbonica e il consumo di ossigeno. Il clima cambia e ci assesta una bella botta per quel che combiniamo.

Quanto costa questa botta, in termini economici e sociali? Pare che ogni anno muoiano 5 milioni di persone a causa del cambiamento climatico, molte meno di quelle uccise dal Covid. I costi delle catastrofi sono crisi alimentari, migrazioni, guerre e altri disastri, incluse le epidemie. Questi costi di solito non sono considerati quando si fanno i bilanci legati alla transizione ecologica. Sembra che ci siano solo spese nel perseguirla, ma evitare i costi dei disastri rappresenta un guadagno! Le “aziende” non mettono questi costi nei loro bilanci: sono gli Stati a pagare il conto.

Ora ci preoccupiamo di quanto costi l’acciaio prodotto in modo sostenibile rispetto a quello prodotto in modo insostenibile: il prezzo più alto ci mette fuori dalla concorrenza con chi produce acciaio nel solito modo. Un momento! I costi dell’acciaio prodotto a Taranto, per esempio, sono anche le vite umane spezzate, gli ecosistemi devastati, l’aria irrespirabile. I costi non li ha pagati l’acciaieria, ma se li dovesse pagare, i guadagni del passato non basterebbero a coprire le spese generate da scellerati sistemi di produzione. Ai consigli di amministrazione non interessano i disastri del futuro, ma solo i guadagni immediati. Chi genera questi costi dovrebbe essere chiamato a pagarli con tasse che coprano i costi della distruzione dell’ambiente, in modo che i costi della produzione siano pagati da chi li genera.

L’Unione Europea pare aver capito l’urgenza di cambiare i sistemi di produzione e consumo, ma le lezioni continuano ad arrivare. Per realizzare la transizione ecologica bisogna conoscere i sistemi che stiamo alterando, per comprendere in pieno le conseguenze delle nostre scelte, per capire se quello che svilupperemo starà andando nella giusta direzione.

I sistemi osservativi attuali ci permettono di comprendere il tempo meteorologico e il clima, ma questo non basta. Lo studio dell’atmosfera va collegato con quello dell’oceano e, su questa matrice fisica, bisogna inserire la biodiversità e gli ecosistemi. Le spese per completare i sistemi osservativi sono paragonabili a quelle per le missioni di colonizzazione spaziale, per gli acceleratori di particelle, per i radiotelescopi sottomarini. Bisogna finanziare queste imprese scientifiche, ma bisogna finanziare anche sistemi osservativi più completi.

Le conseguenze del cambiamento climatico sono oramai una realtà del presente e dovremmo finalmente comprendere che non si può rimandare come abbiamo fatto fino ad ora. Il problema numero uno è questo, e non c’è un problema numero due.

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