Assassinato da un gruppo di mercenari nella notte, dentro la sua abitazione. Intorno all’una, un commando di uomini armati, alcuni dei quali parlavano spagnolo, ha fatto irruzione nella residenza del presidente di Haiti Jovenel Moïse, 53 anni, uccidendolo, e ferendo gravemente la moglie Martine, tuttora ricoverata. A differenza di quanto riferito dai media locali in un primo momento, l’ambasciatore haitiano Smith Augustin a Santo Domingo ha precisato che la ‘first lady’ non è morta e che potrebbe essere trasferita in un ospedale all’estero e si sta valutando il decollo di un volo speciale.

I killer sono stati definiti “elementi stranieri” dal primo ministro uscente Claude Joseph, che ha assunto la guida del Paese e ha condannato quello che ha descritto come un “atto odioso, disumano e barbaro”. Il premier ha convocato una riunione speciale del consiglio di sicurezza, invitando la popolazione a mantenere la calma. “La situazione – ha sostenuto – è sotto il controllo della polizia nazionale e delle forze armate haitiane”. Ma Haiti è in allarme: Joseph ha poi decretato lo stato d’assedio su tutto il territorio nazionale. Chiuso al traffico l’aeroporto internazionale di Port-au-Prince e gli aerei in avvicinamento sono stati costretti a tornare indietro o a modificare la loro rotta. Un velivolo di American Airlines, proveniente da Fort Lauderdale, ad esempio, è tornato al suo punto di partenza. Da parte sua la compagnia haitiana Sunrise Airlines ha annunciato che tutti i suoi voli “sono cancellati fino a nuovo avviso”. Intanto la Repubblica Dominicana ha chiuso le sue frontiere con Haiti: il presidente Luis Abinader ha dato l’annuncio e ha segnalato di aver convocato i vertici delle forze armate per discutere della situazione e ha poi disposto il rafforzamento della vigilanza militare e delle misure di sicurezza, in particolare lungo la frontiera terrestre con Haiti.

Borrell: “Rischio di una spirale di violenza” – Sull’assassinio del presidente haitiano e è intervenuto l’Alto Rappresentante dell’Ue Josep Borrell, che si è detto “scioccato”. “Avevamo avuto uno scambio in un forum diplomatico tre settimane fa. Questo delitto comporta un rischio di instabilità e di una spirale di violenza” per Haiti. “I responsabili devono essere trovati e assicurati alla giustizia”, ha scritto sui social. Anche il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha condannato “nei termini più duri” l’uccisione di Moise, definendola “un atto abietto”, e ha rivolto un appello a tutte le parti a “preservare l’ordine costituzionale” ed evitare una nuova spirale di instabilità. “Le Nazioni Unite – ha assicurato Guterres attraverso il suo portavoce, Stephane Dujarric, esprimendo l’auspicio che i responsabili “siano consegnati alla giustizia” – continueranno a stare al fianco del governo e del popolo di Haiti”.

La ricostruzione dell’agguato – Il quotidiano The Miami Herald scrive che gli aggressori “hanno affermato di essere agenti della Dea statunitense“, secondo quanto risulta da un video ripreso da persone che si trovavano nella residenza di Moïse. Un funzionario del governo haitiano ha però categoricamente smentito che possa essersi trattato di agenti della Dea, e ha assicurato che “questi erano mercenari“. Residenti hanno riferito di aver visto aggirarsi nella zona uomini in tuta mimetica nera ed avere sentito spari di armi di grosso calibro e notato volare dei droni. Il giornale statunitense sostiene che “la morte del capo dello Stato getterà Haiti in un gravissimo caos”.

Chi era Juvenel Moise – Aveva 53 anni. Insediatosi nel 2017, da gennaio 2020 governava per decreto, e senza la presenza di un Parlamento. Affrontava crescenti proteste da parte di associazioni politiche, sociali e religiose, che lo accusavano di aver creato ad Haiti una profonda crisi politica e costituzionale, usando bande armate per rimanere al potere. Proprio ieri Moïse aveva nominato un nuovo primo ministro, Ariel Henry, per preparare il paese alle elezioni che avrebbero portato il 26 settembre allo svolgimento di un referendum costituzionale e all’elezione di un presidente e di un nuovo parlamento.

Alle spalle aveva un passato da imprenditore agricolo di successo, come esportatore di banane, ed era praticamente sconosciuto al grande pubblico quando era apparso sulla scena politica. Il suo sogno era di dare alla sua nazione un profilo di potenza agricola, sviluppando l’entroterra. Moise aveva prestato giuramento come presidente il 7 febbraio 2017: il suo unico mandato da capo dello Stato lo ha trascorso sostanzialmente in isolamento, con un parlamento sospeso e governando attraverso decreti. Padre di due figli, è stato incapace di fermare la spirale negativa in cui si avvitava il Paese, il più povero del continente americano, segnato da diffuse violenze.

Una volta eletto, si era impegnato a risanare il paese minato dalla corruzione. Ma presto alcuni dei suoi collaboratori si erano ritrovati sospettati di aver stornato fondi pubblici. Anno dopo anno si erano susseguite le inchieste parlamentari, le inchieste di Ong o della Corte dei conti che avevano confermato come le istituzioni di Haiti continuassero ad essere preda della corruzione. Proveniva da una famiglia modesta, padre meccanico e madre sarta e commerciante. Era nato nel Dipartimento del Nord-Est, aveva studiato scienze dell’educazione all’università Quisqueya di Haiti. La sua famiglia si era installata a Port-au-Prince nel 1974. Nel 1996 Moise aveva sposato la sua compagna di classe Martine.

Da qualche mese era impegnato in un braccio di ferro con l’opposizione perché contestava la richiesta di lasciare il suo incarico il 7 febbraio 2021. Moise riteneva di aver diritto ad un altro anno di mandato mentre i suoi oppositori consideravano concluso il periodo della sua presidenza, forti di una norma della Costituzione che fa partire il conto alla rovescia dal giorno dell’elezione e non dall’insediamento. Il suo giuramento era stato rinviato perché le elezioni, celebrate nel 2015, si erano concluse tra sospetti di brogli con un ballottaggio posticipato due volte per “problemi di sicurezza”. Durante gli anni della sua presidenza non erano state convocate e celebrate come previsto le elezioni a livello locale e nazionale, mentre un referendum costituzionale in programma per il mese scorso era stato rinviato e programmato per settembre, assieme alle presidenziali e legislative.

All’inizio di quest’anno, di fronte a nuove proteste e – stando alle sue dichiarazioni – nel timore di un tentativo di colpo di Stato voluto per ucciderlo, si era mosso per proteggere la propria posizione, ordinando l’arresto di 23 persone tra cui un giudice della Corte suprema e un alto funzionario di polizia. I suoi oppositori avevano accusato il suo governo di alimentare la violenza politica fornendo alle bande armi e denaro per intimidire i suoi avversari.

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