di Lorenzo Giannotti

Gigi Buffon al Parma è l’ultimo brandello di romanticismo che ci regala questa ipertrofica industria pallonara. Dopo vent’anni, il ritorno nella squadra che lo lanciò poco più che 17enne: talento puro che galleggiava in un mare di personalità e sfrontatezza, è lì che nacque il mito di Superman (con l’iconica maglietta) che tutt’oggi non è ancora tramontato.

Esordio da paura contro il Milan di Capello, la conquista della nazionale della quale detiene oggi il record di presenze, e qualche coppa messa in bacheca. Era il Parma delle meraviglie, quello della Coppa Uefa del “Mollo” Malesani, era la serie A di un livello inarrivabile.

Nel 2001, Luciano Moggi e cento miliardi di lire lo portano all’ombra della Mole e arriva subito il primo scudetto. Nel 2003 è Miglior giocatore della stagione secondo la Uefa: primo caso tra i portieri. Premiato cinque volte Miglior portiere del mondo, e altre decine di riconoscimenti e record come il Golden Foot e il Miglior portiere del decennio 2000-2010. È il giocatore con più presenze in serie A da quando esiste il calcio in Italia. Nel 2006 è campione del mondo, Miglior portiere del mondiale e terzo Miglior giocatore, con la possibilità concreta di ricevere il Pallone d’Oro (arriverà solo secondo).

Qui c’è la svolta di una carriera, di una vita, l’ora di una scelta che impone la forza d’animo dei grandi. Buffon, come svelerà tempo dopo, ha già l’accordo con il grande Milan di Berlusconi (che quell’anno vincerà la Champions ad Atene con una squadra magnifica e imbottita di campioni), ma arriva lo tsunami calciopoli: la Juventus viene retrocessa in serie B. Si fa avanti anche il Barcellona e chissà quante altre corrazzate, può permettersi di andare in qualsiasi squadra desideri. Risultato: uno dei migliori giocatori del mondo, sicuramente il più grande portiere all’acme della propria straordinaria carriera, sceglie la serie cadetta.

Sceglie di rinunciare scientemente al Pallone d’Oro (lotta impari con un Cannavaro al Bernabeu in fase ormai irreparabilmente calante). Sceglie di rinunciare ad anni di sicure lotte di vertice e di grandi sfide, probabilmente di grandi vittorie. Dal tetto del mondo di Berlino alla non certo esaltante provincia italiana in meno di due mesi. Una scelta che, al netto dei pareri più divergenti, tutti non avrebbero preso, e questo è innegabile. Non una scelta romantica, ma di gran coraggio e spregiudicatezza: una scelta compiuta disconnettendo la testa. Una scelta, fra alti e bassi, errori e uscite a vuoto (in campo poche), da grande uomo. Erano i tempi in cui i pareri dei calciatori contavano più di quelli dei propri faccendieri. Gli ultimi tempi in cui l’amore e la riconoscenza per una tifoseria erano più importanti dei milioni, dei contratti, delle commissioni a peso d’oro.

Quindici anni dopo Gigi compie una scelta meno coraggiosa e più romantica, tornare a “sporcarsi” le mani in serie B con il suo Parma cercando di risalire subito la china, magari sfuggendo alle ricche sirene arabe o americane, cercando sempre nuovi stimoli che lo pungolino a 43 anni suonati. Tante critiche pretestuose e insinuazioni poco oneste intellettualmente per un personaggio divisivo e particolarmente vero (da qui divisivo). Ma intanto, al Tardini, è Superman Returns, e il Parma potrà beneficiare di un tifoso in più.

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