Da un po’ di tempo il Medio Oriente sembrava essere stato escluso dall’agenda dell’amministrazione degli Stati Uniti: questi ultimi infatti erano massicciamente impegnati nel rafforzamento della Nato, nel ricucire i rapporti con l’Unione Europea, nel contenimento della Cina e nella sfida alla Russia di Putin. La guerra scoppiata a Gaza ha ribaltato la situazione e le priorità americane sono nuovamente cambiate: in qualche modo l’amministrazione guidata da Biden è stata obbligata a interessarsi ancora all’area mediorientale.

In prima battuta il Segretario di Stato, Antony Blinken, si è recato in visita in Israele, Palestina, Giordania ed Egitto per cercare un dialogo per risolvere la questione e bloccare la grave escalation di violenze che ha investito l’area, con dimensioni e impatto che non erano prevedibili all’inizio delle manifestazioni di Gaza. Proprio il fattore “impatto” ha spinto gli Usa a rivedere le sue priorità internazionali e ad occuparsi attivamente della questione israelo-palestinese che era stata marginalizzata nella precedente amministrazione.

Una delle poche azioni americane, altamente simbolica, era stata quella di spostare a Gerusalemme la sua ambasciata. L’azione non aveva avuto conseguenze significative perché la situazione Israele-Palestina era abbastanza stabile, non si andò oltre le vane proteste. Ora tutto è cambiato, e l’intervento fattivo degli Stati Uniti si sta rivelando necessario. Come del resto è necessario pensare realisticamente di dover trovare al più presto una soluzione che possa impedire l’insorgere di problemi dalle possibili conseguenze catastrofiche.

È necessaria una valutazione realistica della situazione, e ciò spiega anche perché questa escalation ha riportato l’amministrazione americana a pensare alla realtà geografica legata a questo conflitto, Giordania e Egitto; rimangono però latenti i dubbi sull’effettiva capacità da parte americana di risolvere la questione, anche in considerazione della necessità di ricostruire Gaza, evitando l’azione di Hamas che è a tutt’oggi il vero protagonista sul territorio.

Questa considerazione ci riporta a vecchi discorsi e progetti che in realtà rappresentano le radici del conflitto, in particolare quando si pensava di eliminare Hamas investendo milioni di dollari nell’addestramento di truppe palestinesi, che poi sono state spazzate via in una sola notte, con la conseguente fuga all’estero del capo della sicurezza Mohmed Dahlan. Dopo questo fallimento la striscia di Gaza è stata consegnata integralmente ad Hamas, che si è ulteriormente rafforzato. Il progetto di ricostruire Gaza senza Hamas non offrirebbe ad oggi soluzioni, anzi al contrario potrebbe portare come conseguenza diretta a un inasprimento della situazione, da cui la possibile riapertura del conflitto e la prematura fine del fragile armistizio. Inoltre, il conflitto potrebbe facilmente dilagare nella regione, che è sempre instabile dal punto di vista politico e della sicurezza.

Riflettendo oggi su una possibile soluzione è necessario essere pragmatici e spingere perché Hamas entri a far parte di un governo palestinese con il consenso popolare. Questa operazione di strategia politica richiede, però, un più vasto coinvolgimento degli attori internazionali, capaci di influenzare in egual misura sia Hamas sia i palestinesi. Tra questi attori vi è in primis l’Egitto, che potrebbe sostenere questa soluzione anche in considerazione del suo ruolo nell’area mediorientale e al discreto riavvicinamento con gli Usa – anche se permangono tra le due entità statali distanze su questioni quali diritti umani e libertà personali.

In conclusione: per ora tutte le azioni poste in essere e gli sforzi diplomatici non sembrano pervenire ad una soluzione della questione palestinese. In pratica si teme che ad oggi nessuno abbia una visione realistica necessaria per offrire una soluzione duratura, o che possa almeno arginare un problema pendente da troppi decenni. L’escalation di violenze scoppiata a Gaza ha fatto suonare l’allarme per alcuni attori internazionali, ma questo non basta: infatti, per come stanno oggi le cose, si potrebbe tornare repentinamente al conflitto, e questo si potrà evitare solo attraverso soluzioni condivise.

È perfettamente inutile e anche dannoso scappare dalla realtà e rifugiarsi nell’illusione. È strettamente necessario che la questione palestinese diventi una priorità per la pace regionale. Anche un progetto di pace con i paesi arabi sarebbe un fuoco di paglia, perché non avrebbe conseguenze tangibili sul problema principale che è e rimane il conflitto israelo-palestinese. Prima si dovrebbe risolvere quest’ultimo e solo successivamente pensare a una pace estesa per tutta la regione mediorientale.

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