Ci sono alcune fotografie scattate l’aprile scorso dall’amico Toni Farina, consigliere del Parco Nazionale del Gran Paradiso, al fiume Po, nel tratto piemontese di pianura, foto che sono emblematiche della cura riservata ad ambiente e paesaggio nel nostro “ex Bel Paese” (che ritorna quello di Antonio Stoppani solo nelle telecronache del Giro d’Italia).

Il fiume (sacro alla Lega o sbaglio?) è completamente asciutto e, ripeto, ad aprile, mese di scioglimento delle nevi. È facile pensare che continuerà a non avere alcuna portata d’acqua in quel tratto fino al prossimo autunno. Eppure, eppure, esiste un articolo 9 della Costituzione che tutela il paesaggio, un bene che la Corte Costituzionale ha interpretato come bene assoluto. Eppure, nello specifico, esiste un’Autorità di Bacino che dovrebbe sorvegliare se il bene su cui essa esercita il potere è vivo e vegeto. Eppure esiste una normativa a livello sia nazionale sia regionale che prevede il rilascio del Deflusso minimo vitale (Dmv).

Ma siamo in Italia, quella del deflusso minimo vitale – che si chiama così perché dovrebbe garantire la sopravvivenza degli ecosistemi acquatici – è una favoletta. Innanzitutto, l’acqua che dovrebbe essere rilasciata è irrisoria (circa il 20% delle portate medie dei corsi d’acqua), e c’è da dubitare che ci possa essere un processo di autodepurazione con così poca acqua, ma poi: chi controlla il rispetto dei deflussi? Le immagini parlano da sole.

Ma facciamo un passo indietro: perché così tanta risorsa viene sottratta ai corsi d’acqua? Essenzialmente per l’irrigazione. E, in particolare, per quelle colture intensive tipo il mais che necessitano di continua irrigazione. Mais che poi non finisce nelle nostre bocche, ma in quelle degli ospiti degli allevamenti intensivi. Quindi, a monte di tutto, c’è l’enorme business della carne. A valle c’è la connivenza del potere politico, che non controlla che per le concessioni in essere il deflusso sia rispettato, che non controlla se ci sono derivazioni abusive (come ci sono, eccome), e così via.

E come la mettiamo con il riscaldamento climatico che ci interesserà sempre di più? Non basterà neppure mettere i corsi d’acqua in asciutta, bisognerà realizzare degli appositi bacini. In Piemonte il progetto dell’invaso di Moiola fa parlare di sé da più di cinquant’anni, e, in generale, ecco il progetto di mille nuovi invasi sull’arco alpino.

Ma mettiamo da parte per un attimo l’agricoltura e i danni che essa produce in pianura e passiamo all’idroelettrico – una delle tanto decantate energie alternative – e ai corsi d’acqua di montagna. Qualche nostro politico si è mai dato la pena di andare a verificare quanta acqua viene rilasciata in un torrente interessato da una centralina idroelettrica (sotto i 3mW di potenza)? No, vero? Altrimenti non la chiamerebbe “energia pulita”. E uno studio di diverse decine di anni fa denunciava già allora che il 90% dei corsi d’acqua delle Alpi non versava più in condizioni di naturalità proprio per produrre energia elettrica.

Le angoscianti foto del fiume Po in secca dovrebbero smuovere le nostre coscienze, dovrebbero essere viste dai nostri politici, essere diffuse fra i banchi del Parlamento dovunque circolano le voci “transizione ecologica”, “ambiente”, “resilienza”. Prima di qualsiasi atto normativo o di governo, si dovrebbe abbandonare la nostra veste di uomini per metterci nei panni di un pesce, di un uccello, di un mammifero, di un albero: quali le conseguenze per loro? E poi, solo allora, decidere.

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