Complicato dalle misure anti-Covid, lo scrutinio delle prime elezioni post pandemia ha prolungato per tre giorni lo stillicidio delle maxi-amministrative britanniche da 48 milioni di votanti. Con Brexit e coronavirus a confondere la bussola politica, alla fine dal big bang elettorale di giovedì scorso sono usciti vincitori i conservatori che guadagnano 239 consiglieri in 58 comuni dell’Inghilterra a dispetto dei laburisti che invece ne perdono 301 in 44 dei 143 comuni in corsa. Dalla storica roccaforte di Hartlepool (vinta alle suppletive dopo 57 anni) a Southampton, da Sunderland a Newcastle e County Durham, che era sotto il controllo laburista dal 1925, la scioccante avanzata dei conservatori si è spinta fino a Londra, dove la forbice tra il super favorito sindaco uscente, Sadiq Khan, e l’avversario conservatore, Shaun Baily, è andata via via assottigliandosi portando alla rielezione del sindaco laburista che al ballottaggio con i voti della seconda preferenza ha raggiunto un vantaggio del 55.2% contro il 44,8% del contendente in una rimonta inattesa.

Johnson vince in Inghilterra, ma ora si gioca il Regno Unito
Se in Galles gli indipendentisti sono stati sedati alle urne, le ambizioni devoluzioniste del first minister Mark Drakeford sembrano invece essere state rafforzate dalla pandemia. Il leader labour ha consolidato la presa ventennale al Parlamento del Senedd conquistando la metà dei seggi (30), il miglior risultato mai registrato dal partito a Cardiff. Il vero grattacapo di Johnson però è la Scozia di Nicola Sturgeon sul piede di guerra verso la secessione. Con 64 parlamentari dello Scottish National Party sui 129 di Holyrood (uno in meno rispetto alla maggioranza assoluta ma in rimonta di uno rispetto alle elezioni del 2016) e con i voti dei Verdi indipendentisti, la leader nazionalista va dritta verso il secondo referendum per l’indipendenza da Londra. “Johnson non ha alcuna giustificazione democratica per ostacolare il diritto degli scozzesi di scegliersi il proprio futuro”, ha detto dal palco di Glasgow la first minister scozzese in occasione della sua rielezione e dello storico quarto mandato consecutivo dello Snp.

Per tentare di salvare l’Unione, il premier britannico ha invitato lei e il leader gallese a un vertice sulla devoluzione a Downing Street chiedendo ufficialmente di “discutere di come affrontare le sfide del post-pandemia e servire al meglio gli interessi del Paese e soprattutto degli scozzesi, restando insieme, un Team Uk”. Indyref2, o potremmo chiamarlo Scoxit, non avverrà comunque prima del 2025, ma la procedura potrebbe essere tortuosa. Senza il consenso di Westminster, la Sturgeon dovrà fare approvare il referendum con una legge interna al parlamento di Holyrood per poi vederlo bloccato da Johnson in giudizio davanti alla Corte Suprema.

Labour, un partito anacronistico e in crisi esistenziale
Il simbolo di questa tornata elettorale resterà il gonfiabile gigante di Boris Johnson che fluttua beffardo e vittorioso nei cieli albeggianti di Hartlepool. E il leader dell’opposizione laburista Keir Starmer? Apparso sulla porta di casa per poi ritirarsi nella sua umiliazione, amarezza e recriminazione. “Dopo l’affondamento di Jeremy Corbyn, le speranze dei laburisti di aver superato la Brexit e di poter tornare ad una politica normale, ovvero al ‘destra contro sinistra’, non si sono materializzate – spiega Sir John Curtice, analista politico della Bbc – La Brexit ha stravolto la dimensione politica, i laburisti non sono riusciti a recuperare terreno tra gli elettori pro-leave che erano stati persi nelle elezioni del 2019 e hanno alienato i sostenitori tradizionali del partito come i giovani e le persone con idee liberali sulle tematiche sociali, ad esempio l’immigrazione“, continua Curtice. “Hanno perso seguiti nella Scozia pro-remain (dove infatti i laburisti hanno registrato la peggiore performance dal 1999, l’inizio della devoluzione) e hanno messo nel mirino dei conservatori anche aree considerate roccaforti, come Londra. Poi abbiamo avuto la pandemia e Starmer si è ritrovato senza un programma e senza un messaggio chiaro su che cosa rappresenti il partito”.

Non è però tutto grigio: a Manchester a sbaragliare la concorrenza con una valanga di voti (il 67% delle preferenze) è stato il neo rieletto sindaco laburista, Andy Burnham, già conosciuto come “il re del nord” per essersi opposto con veemenza al governo Johnson all’inizio della seconda pandemia. Burnham si è presentato sul palco pieno di sentimento (con tanto di lacrime mentre ringraziava la famiglia), piglio temerario nel rivendicare subito poteri devoluti dal governo centrale e lo sguardo rivolto con decisione ed energia verso il suo stesso partito: “Il Labour deve cambiare”, ha detto il sindaco di Manchester. Il messaggio porta vigore e freschezza nel desolante scenario politico di Starmer che per tutta risposta alla sua catastrofe elettorale ha avviato invece un rimpasto del partito che sa di epurazione. I laburisti potrebbero aver trovato la forza di una leadership, peccato solo che non sia quella al timone verso le prossime elezioni.

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