“E’ stato un attimo, io l’ho visto, lui mi ha guardato prima di andarsene. Mio padre aveva degli occhi bellissimi. Non mi arrendo, non ho paura. Non mi possono togliere più nulla, mi hanno già tolto il cuore”. Maria Adriana ha 20 anni è la figlia di Maurizio Cerrato, 61 anni, un uomo buono, perbene, un gran lavoratore aggredito, massacrato e accoltellato mortalmente perché era andato in soccorso della figlia affrontata da un pregiudicato per aver osato spostare dalla strada pubblica delle sedie posticce e poter parcheggiare.

Accade lunedì scorso in via IV Novembre alle porte del rione Provolera, una delle più frequentate piazze di spaccio, a Torre Annunziata, comune alle porte di Napoli, Italia, Europa 2021. Le avevano squarciato uno pneumatico per ritorsione, per aver violato quel posto ‘prenotato’, per aver oltrepassato un limite invalicabile, per aver messo in dubbio platealmente il potere della camurriade.

Sarebbe ingeneroso affermare che Torre Annunziata resta la Fortapàsc raccontata da Giancarlo Siani negli anni 80, ma questo omicidio mostra con un agghiacciante realismo tutti quei mali antichi di cui resta infettata questa terra e denunciati dal cronista napoletano, ammazzato dalla camorra quel maledetto 23 settembre di 36 anni fa.

Maurizio Cerrato chinato, mentre sostituiva la ruota dell’auto, come sua figlia Maria Adriana, non ha abbassato un attimo i suoi occhi chiari, fiero della legalità, fiero di aver trasmesso i suoi valori in famiglia. Un atto di arroganza ancora più forte, una provocazione, un gesto di sfida secondo i ‘codici’ della cultura camorrista. Scatta l’agguato. Mentre in tre bloccano quell’uomo disarmato, il boia, l’infame, la merda umana si accanisce sferrando fendenti al torace. Una brutalità, una atrocità uguale per modalità e per ideologia della sopraffazione ai terroristi dell’Isis. Un massacro consumato davanti a Maria Adriana, quel padre morente che difende la figlia e a lei rivolge l’ultimo sguardo e il solenne e ideale testamento: “Fai camminare sulle tue gambe, la nostra onestà. Noi non siamo come loro”.

C’erano dei testimoni, in quel brandello di strada nessuno ha parlato, neppure quando i magistrati li hanno convocati, anche quando gli hanno messo sotto il naso le foto segnaletiche. Solo silenzio impenetrabile. Un muro d’omertà spesso, quella convivenza, quella connivenza, quella convenienza di quel mondo.

È stata Maria Adriana a parlare, a raccontare agli inquirenti, i fatti, la sequenza bestiale e criminale dell’uccisione di un uomo perbene. E con sua mamma Tania si è recata davanti agli uffici della Procura di Torre Annunziata per ringraziare gli inquirenti: il procuratore capo Nunzio Fragliasso, l’aggiunto Pierpaolo Filippelli, il sostituto Giuliana Moccia e i carabinieri della compagnia di Torre Annunziata agli ordini del maggiore Simone Rinaldi e del tenente Sebastiano Noè Somma. E poi il loro sfogo: “Pensiamo che le persone perbene l’omertà non sappiano nemmeno cosa sia. Noi non lo saremmo state. Le cose possono cambiare. Non bisogna avere paura di parlare perché al nostro posto ci potrebbe essere chiunque. Come lui non ha avuto paura da oggi non lo abbiamo nemmeno noi”.

Nessuna pietà per chi si è macchiato di un omicidio volontario, premeditato e per futili motivi come accusa la Procura di Torre Annunziata e di fronte a questo enorme dolore c’è ancora chi spera nella giustizia come Carmela Sermino, suo marito Giuseppe Veropalumbo, era a casa il 31 dicembre 2007 a Torre Annunziata. Giocava a carte e aspettava la mezzanotte per festeggiare l’arrivo del nuovo anno e rinnovare quel carico di speranze, buoni auspici e sogni da realizzare. È un attimo. Un colpo di pistola esploso in strada, infrange i vetri del balcone al nono piano e centra Giuseppe. Anche in quel caso nessuno ha visto, nessuno ha sentito nulla, tutti hanno girato lo sguardo altrove.

Sono tante le vittime innocenti di camorra e tante per mano della criminalità comune come Patrizio Falcone, 42 anni, un marito, un padre ucciso il 22 maggio dell’anno scorso a Napoli con una sola coltellata sferrata dritta al cuore. L’efferato e crudele delitto è commesso davanti agli occhi del figlio maggiore e di altre persone. È Anna Gaeta, sua moglie a dare il primo soccorso al marito morente anche lei, suo figlio senza abbassare mai gli occhi stanno combattendo in tribunale per avere giustizia.

E Anna adesso sta conducendo un’altra battaglia: istituire e dedicare una giornata commemorativa a tutte le “vittime comuni innocenti”, perché il ricordo e la memoria rimangano vive, e siano soprattutto condivise con la comunità tutta.

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