Il Cile é il paese latinoamericano che più ha vaccinato contro il Covid, e il quinto al mondo, dopo Israele, Emirati Arabi, Regno Unito e Stati Uniti. Eppure è teatro di un paradosso: con oltre 7,3 milioni di persone che hanno ricevuto la prima dose di vaccino (su 15 milioni di vaccinabili), e 4,6 milioni (pari al 63,3%) che hanno avuto anche la seconda (per un totale di 12 milioni di dosi somministrate), i numeri dei contagi, delle persone ricoverate e dei reparti di terapia intensiva non sono mai stati così brutti. Tanto che dal 5 aprile il governo ha deciso di chiudere le frontiere fino al primo maggio, permettendo il transito internazionale solo per motivi urgenti di carattere umanitario o trattamenti medici e da fine marzo buona parte del Paese ha deciso di tornare a chiudere. Ma andiamo con ordine.

Il 3 febbraio (in piena estate australe) nel paese é iniziata la campagna vaccinale, grazie ai contratti siglati già dai primi mesi della pandemia dal governo di Sebastian Piñera per assicurarsi ingenti quantitativi di vaccini (principalmente il cinese Sinovac, oltre a Pfizer). La campagna vaccinale è stata organizzata con un metodo semplice ed efficace: ogni due giorni circa vengono vaccinate tutte le persone nate in un determinato anno di nascita, senza bisogno di prenotarsi. Eppure proprio da febbraio ha iniziato a registrarsi un sostenuto aumento dei contagi, l’inizio della loro seconda ondata, e nel mese di marzo, secondo un’indagine delle Università del Cile, della Cattolica e di Concepción, il numero dei malati era del 28 per cento più alto che nel peggior momento della pandemia del 2020. Da allora ogni giorno continua a segnare un record negativo rispetto ai mesi scorsi. L’11 di aprile è stato superato il milione di casi, si sono contati fino a quel momento oltre 24.400 vittime e in un giorno si sono avuti 7830 casi, il numero più alto dall’inizio della pandemia.

Tutto ciò ha portato anche a nuove pesanti restrizioni all’interno, con quarantena per l’83 per cento della popolazione, coprifuoco dalle 21, la possibilità di uscire per fare attività fisica dalle 6 alle 9 del mattino e di uscire, solo previo permesso rilasciato dalla polizia, due volte a settimana (spesa compresa). Una situazione che gli stessi cileni faticano a spiegarsi, dopo l’euforia e l’orgoglio di marzo per essere stati uno tra i paesi con il ritmo di vaccinazione più veloce di tutti. Ma proprio l’entusiasmo in realtà é stato uno dei fattori che ha concorso all’attuale ondata, perché dai più giovani, felici per le vaccinazioni, alle fasce più deboli e anziane, oltre che al personale scolastico, hanno allentato le restrizioni e iniziato ad affollare le strade delle città come se nulla fosse. Inoltre in estate non si é mai arrivati ad un azzeramento dei contagi, ma si é sempre rimasti su un plateau di 1500-1800 casi positivi giornalieri.

Secondo Claudia Cortés, vicepresidente della Società di Infettivologia Cilena, “la situazione che stiamo vivendo ora in Cile é paragonabile a quella vissuta nel Regno Unito al ritorno delle vacanze estive. Senza contare che nei mesi estivi sono state autorizzate, con permessi speciali, 4 e 5 milioni di persone a muoversi per le vacanze in varie aree del paese, dove oggi si hanno i maggiori tassi di ricovero e malati”. E poi ci sono la stanchezza da pandemia e l’insofferenza alle restrizioni, molto rispettate nella prima fase del 2020, ma al costo di un impatto socio-economico pesantissimo, che si é andato ad aggiungere alla situazione di grande conflittualità che alla fine del 2019 aveva portato alle proteste sociali, che avevano messo a ferro e fuoco gran parte delle principali città, con ingenti danni per il commercio e le attività economiche. Per sopravvivere, le persone che lavorano nell’economia informale e non hanno ricevuto alcun tipo di aiuto dallo Stato, hanno continuato ad uscire per lavorare.

Infine, ma non meno importante, c’é il tema delle varianti del coronavirus che hanno iniziato a circolare, soprattutto quella brasiliana. Molti esperti sospettano che sia la responsabile di questa nuova ondata di contagi, grazie alla sua capacità di sfuggire al vaccino. Un dubbio sempre più pressante dopo che la stessa Cina ha ammesso che l’efficacia dei suoi vaccini é bassa. E anche se il ministro cileno delle Scienze e della tecnologia, Andrés Couve, ha difeso l’efficacia del vaccino cinese (delle 15 milioni di dosi di vaccino ricevute in Cile, 13 sono appunto Sinovac), la verità “è che attualmente non abbiamo informazioni a favore dell’efficacia di Sinovac contro le varianti”, spiega al sito interferencia.cl la genetista Florencia Tevy.

“In Cile non abbiamo un numero sulla prevalenza di questa variante. Le uniche osservazioni che conosco sono quelle riportatemi dai medici che lavorano in prima linea, che osservano un diverso quadro clinico rispetto al 2020, ma non possiamo sapere se c’è un collegamento tra le due cose”. È anche vero che, come rileva Juan Carlos Said, dell’Imperial College di Londra, l’immunità più forte si raggiunge dopo la seconda dose di vaccino e per vedere “calare il numero di morti e ricoveri, bisognerà avere l’80 per cento della popolazione vaccinata”. Le prossime settimane saranno quindi decisive.

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