“Sei anni fa sono entrato in una classe a parlare di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e l’ho fatto con un fumetto. Alla fine della lezione un bambino, Gabriele, mi ha consegnato il suo disegno: aveva raffigurato una partita di calcio con un tabellone con scritto Mafia 13 – Carabinieri 14. Da quel giorno ho capito che cosa avrei dovuto fare”.

A parlare è Pino Cassata, il presidente dell’associazione “Peppino Impastato e Adriana Castelli” di Milano che anche quest’anno con il ministero dell’Istruzione e insieme all’istituto comprensivo “Monte Amiata” di Rozzano e al liceo artistico “Fausto Melotti” di Cantù e Lomazzo, ha lanciato il concorso nazionale “Il fumetto dice no alla mafia”, dedicato ad Attilio Manca, il medico siciliano trovato morto nella sua casa di Viterbo nel 2004, che secondo diverse indagini su assassinato da Cosa nostra dopo aver curato il boss Bernardo Provenzano, all’epoca latitante.

“Abbiamo ricevuto – spiega Cassata – più di 700 elaborati che arrivano dalle scuole di ogni ordine e grado: abbiamo materiale fatto dai nidi fino agli studenti dell’Università comprese le scuole di fumetto. Non ci aspettavamo un simile successo e siamo felici che la nostra idea di usare il fumetto come veicolo di memoria e cultura sia funzionata”. Cassata, in pensione da qualche anno, sta dedicando la vita a questo obiettivo. Lui e gli altri soci dell’associazione quasi quotidianamente vanno nelle scuole per far conoscere le storie delle vittime di mafia e lo fanno attraverso i fumetti. Parlano di Impastato, di Rostagno, di Borsellino, di Falcone in un modo coinvolgente, senza annoiare.

“Ci siamo accorti – continua Cassata – che nelle aule non si parlava di mafia. Nei corridoi, nelle classi ci sono cartelloni dei primitivi, delle foglie, del corpo umano ma poche storie che parlano di legalità e di lotta alla criminalità organizzata”. Da qui l’idea di rivolgersi al mondo dell’istruzione per passare il testimone ai più giovani. Il concorso, giunto alla sua seconda edizione, vuole stimolare la creatività dei ragazzi, invitandoli a realizzare non solo fumetti ma anche cartoni animati. “Sono questi i mezzi di comunicazione liberi e sempre più riconosciuti – spiegano gli organizzatori – dalle nuove generazioni, capaci di unire, con un linguaggio diretto, immediato e semplice, il disegno e la creatività nelle sue molteplici espressioni, con la conoscenza e l’approfondimento della storia”.

Ma non basta. L’associazione milanese ha lanciato anche un altro concorso: “1,10,100 .., ninne nanne, filastrocche e giochi per dire No alla mafia”, al quale possono partecipare dai bimbi del nido ai più grandi. Un progetto dedicato a due donne coraggiose come Lea Garofalo e sua figlia Denise che hanno avuto il coraggio di essere libere e di scegliere da che parte stare.

Il concorso nasce dall’importante incontro con una testimone di giustizia, la quale nel corso di un incontro pubblico, ha raccontato le abitudini educative che la cultura mafiosa, quella della ‘ndrangheta in particolare, esercita sui propri figli appena nati, conferendo loro un imprinting indelebile che li segnerà nel processo di crescita a sviluppo culturale: “Le mamme della ‘ndrangheta – raccontano i promotori dell’iniziativa – quando allattano i propri figli al seno la prima cosa che gli dicono è: “.. tu figlio mio con gli sbirri non ci parli …, tu figlio mio con gli sbirri non ci parli …, tu figlio mio con gli sbirri non ci parli …“ , e questa diventa una vera e propria ninna nanna, una cantilena ripetuta ed interiorizzata nella giovane ed incosciente mente del fanciullo che mai come in questi primi anni di vita è ricettiva degli stimoli e ne fa tesoro”.

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