Impazzano sul web in questi giorni i video di alcuni studenti che spiegano, con la pacata competenza degli smanettoni, quali sotterfugi attuare per sfuggire alle temute interrogazioni a distanza. Gli studenti sono tornati a scuola, sì, ma per lo più al cinquanta per cento il che significa o che mezza classe ascolta dalla cameretta mentre l’altra metà cerca di mimetizzarsi con il muro dell’aula, o che una classe frequenta settimane alterne. E se ci sono adolescenti che vivono con disagio questo momento, con la vita sociale azzoppata, le amicizie in stand by, i rapporti sociali tutti migrati dietro ad uno schermo (e non va negato, perché ci sono), altri approfittano dei tempi incerti per affinare le armi.

A scuola ci sono quelli che copiano. Da sempre. Non tutti e non bene, ma ci sono. E ce ne accorgiamo. In origine fu il bigliettino, il foglietto infilato nei posti più impensati, le scritte sui banchi. Il mio banco del liceo aveva incisa sulla superficie, con un finissimo lavoro di cesello, la formula risolutiva delle equazioni di secondo grado: non era opera mia, ma non me ne sono mai lamentata.

Con le lezioni a distanza e la scusa perenne di non meglio identificati “problemi di connessione” si sono moltiplicate le strategie. Applicazioni che distorcono la voce, che frizzano l’immagine, file provvidenziali che si aprono al momento giusto, ricerche vocali che danno risposte in tempo reale come neanche il compagno di banco secchione. Insomma, un arsenale di soluzioni, messe in bella mostra su video, che rendono eroi gli impuniti esibizionisti dell’inganno virtuale, acclamati come salvatori dai disperati interrogati a sorpresa.

Nell’eterna lotta tra LORO (quelli che non sanno niente e cercano di sfangarla) e NOI (quelli che manco a farlo apposta vanno a far le domande sempre agli stessi) cambia il terreno di scontro e si sposta tra le maglie della rete.

Ragazzi: visto che caricate i video che spiegano gli inganni più efficaci mettendoci la faccia, visto che giochiamo a carte scoperte, volevo dirvi una cosa. Ce ne accorgiamo.

Lo so, lo capisco voi siete convinti che abbiamo iniziato da poco a sostituire i papiri con la carta e prendiamo appunti incidendo tavolette di cera; voi, dalla freschezza dei vostri diciotto anni, ci guardate e ci credete vecchi, perché a diciotto anni non sai dare l’età agli adulti, uno di quarant’anni ti sembra vicino alla pensione e uno di cinquanta ti sembra coetaneo di Giulio Cesare, anzi gli chiederesti garbatamente com’è che si viveva nell’antica Roma così da scriverlo nella ricerca.

Ma noi c’eravamo. Noi che ci rovinavamo gli occhi con Tetris e Prince of Persia, c’eravamo quando sono arrivati i pc. Abbiamo lottato contro tutti gli aggiornamenti di Windows, lui sì che si impiantava al momento meno opportuno, non come le vostre piattaforme di oggi, che non crashano mai quando la prof vi chiama. Quando voi piangevate per le colichette da bebè, noi installavamo Linux. Quando voi andavate all’asilo, noi scaricavamo cose che è meglio non dire, aspettando ore, perchè il downloading insegnava la pazienza meglio di un trattato orientale, saltando da un torrent all’altro come stambecchi di montagna. Quando voi iniziavate la dura lotta verso l’indipendenza dal pannolone, noi senza nessun tutorial on line, sincronozzavamo tutti i nostri dispositivi sentendoci padrieterni.

Non è questione di “ma che ne sanno i Duemila”. E’ questione che lo sappiamo. Ce ne accorgiamo. Perché l’avremmo fatto anche noi. Anzi no, noi avremmo gracchiato nel microfono e messo del nastro adesivo pieno di peletti sulla videocamera per simulare una connessione scadente, del resto siamo gente che arrotolava i nastri delle cassette con le matite. L’avremmo fatto. E ci avrebbero beccati. E’ come nel re leone, il cerchio della vita.

Quindi bravi, bravissimi.

Siete ingegnosi e arditi.

Siete nerd smanettoni, indomiti portabandiera del salvataggio in extremis e del rigore al novantaquattresimo.

Avete diritto all’alloro poetico e a novantadue minuti di applausi.

Però, ragazzi, ce ne accorgiamo.

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