In Italia nel 2020 lo spreco alimentare è diminuito, ma il dato è dovuto anche all’emergenza Covid-19 e, comunque, sono 5,2 milioni le tonnellate di cibo finite nella spazzatura, tra le mura domestiche e lungo tutta la filiera. Questo significa 9,7 miliardi di euro: 6 miliardi e 403 milioni di spreco alimentare nelle case italiane e oltre 3,2 miliardi di perdite sui campi, nel commercio e nella distribuzione. Sono i dati contenuti nel report di Waste Watcher International Observatory on Food and Sustainability (su rilevazione Ipsos), diffusi in occasione della Giornata nazionale di prevenzione dello spreco alimentare, dalla Campagna spreco zero.

AUMENTA LA CONSAPEVOLEZZA, MA NON OVUNQUE – Nel 2020, con i differenti stili di vita dovuti ai lockdown, è aumentata la consapevolezza del valore del cibo. Rispetto al 2019, lo spreco è diminuito del 12% (3,6 kg) tra le mura domestiche con all’attivo uno spreco di cibo a testa di 27 chili (529 grammi a settimana). Parliamo di 222.125 tonnellate di cibo sottratto alla pattumiera e un risparmio di 6 euro pro capite, ovvero 376 milioni di euro all’anno a livello nazionale. Una tendenza che cambia a seconda di diversi fattori. Intanto quello geografico: si riducono gli scarti soprattutto al Nord (489,4 grammi alla settimana, rispetto una media di 529,3 grammi), mentre c’è più disattenzione al Sud (602,3 gr la settimana) e tra i ceti bassi (+9% rispetto la media), anche se in questi segmenti sociali si sprecano meno alimenti come uova, latticini o cibi precotti.

LE RAGIONI DELLO SPRECO – Ma perché si spreca? Secondo l’indagine Ipsos, a casa accade soprattutto perché ci si dimentica di avere alimenti che si deteriorano a ridosso della scadenza (46%), ma capita anche di acquistare frutta e verdura già sull’orlo della deperibilità (42%). Però si ammette anche di comprare troppo (29%) e di aver calcolato male il cibo che serviva (28%). È sempre la frutta fresca uno dei cibi più sprecati (37%), seguita da verdura fresca (28,1%), cipolle, aglio e tuberi (5%), insalata (21%) e dal pane fresco (21%).

COME IL COVID HA MODIFICATO LE ABITUDINI – Secondo quanto emerge da un sondaggio di Coldiretti, a contribuire al taglio degli sprechi alimentati non è solo la consapevolezza ritrovata, ma anche le nuove abitudini, come “il ritorno della gavetta portata al lavoro per più di un italiano su due (53%), magari recuperando gli avanzi della sera prima”. Il maggior tempo passato in cucina per i lockdown e l’esigenza di ridurre al minimo i contatti per paura dei contagi hanno portato a una tendenza alla “autarchia”, favorita anche dalle difficoltà vissute dalla ristorazione. Il risultato? Oltre la metà degli italiani dipendenti si porta il pranzo da casa per consumarlo sul posto di lavoro a distanza di sicurezza dai colleghi. Un altro 27%, spiega Coldiretti, va a casa a mangiare, mentre un 2% si fa consegnare il cibo direttamente in ufficio e un ulteriore 5% va a prenderlo d’asporto. Appena il 4% delle persone approfitta della mensa aziendale e solo il 9% si reca nei bar e ristoranti nelle regioni in cui sono ancora aperti.

UN PROBLEMA ETICO – Non si tratta solo di un problema economico ed ambientale “ma anche etico – sottolinea Coldiretti – se si pensa che sono 4 milioni gli italiani costretti a chiedere aiuto per mangiare nel 2020, un numero praticamente raddoppiato rispetto all’anno precedente”, secondo una stima dell’associazione sulla base dell’ultimo rapporto di attuazione sugli aiuti alimentari distribuiti con il Fondo di aiuto agli indigenti (Fead) relativo al periodo 1994-2020. Banco Alimentare, la fondazione che ogni giorno recupera il cibo non consumato nelle mense collettive e dalla grande distribuzione consegnandolo agli enti caritativi, ha visto crescere le richieste di aiuto alimentare mediamente di circa il 40% e le persone che si sono rivolte agli enti caritativi sono passate da 1,5 a circa 2,2 milioni. D’altronde, anche secondo l’indagine Ipsos lo spreco è ritenuto immorale dall’83% degli intervistati, che pensano alle risorse vitali (80%), anche di più che alle conseguenze su impatto ambientale e inquinamento (77%). L’85% chiede, infatti, di rendere obbligatorie per legge le donazioni di cibo ritirato dalla vendita da parte di supermercati e aziende ad associazioni che si occupano di persone bisognose, in seguito all’aumento della povertà generato dalla pandemia Covid-19.

LA FASE DELLA RACCOLTA – Qualcosa negli ultimi anni si è mosso. E si parte già dalla fase di raccolta. “L’agricoltura non spreca cibo, anzi da sempre applica i principi dell’economia circolare, cercando di recuperare attraverso il riutilizzo degli scarti agricoli”, sottolinea il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, ribadendo il contributo fondamentale che possono dare le imprese agricole nell’attuazione del Piano nazionale contro gli sprechi alimentari, di cui l’Italia si è dotata già da qualche anno. Ma tanto c’è ancora da fare se un quinto della frutta e verdura destinati alle nostre tavole rimane sui campi. “Molti prodotti dell’ortofrutta vengono buttati perché non sono conformi a standard di bellezza e uniformità che il mercato ha imposto e che i consumatori hanno interiorizzato”, spiega Fausto Jori, amministratore delegato di NaturaSì. “Un principio assurdo – aggiunge – che va contro uno dei valori fondanti dell’agricoltura biologica e biodinamica che dà spazio a sementi non ibride e autoctone, selezionate per la loro vitalità e produttività”. Secondo il documento della Fao, Beauty (and taste) are on the inside!, nel mondo un terzo delle derrate prodotte (1,3 miliardi di tonnellate) viene perso o sprecato lungo tutta la catena della produzione e del consumo. La cifra sale al 45% nel caso di frutta e ortaggi. Per la Fao, in Italia e nel resto d’Europa il 21% dello spreco avviene direttamente nei campi.

LE AZIONI IN CAMPO – Proprio per sfidare questo modello, NaturaSì ha lanciato a giugno 2020 con Legambiente la campagna CosìPerNatura, mettendo a disposizione dei clienti prodotti imperfetti, un po’ più grandi o un po’ più piccoli o semplicemente dalla forma insolita. E ora tira le somme: “Ad oggi un 5-6% dell’ortofrutta venduta nei nostri punti vendita (650 tonnellate circa) appartiene ai CosìPerNatura – aggiunge Jori – così siamo passati da un 20% circa di prodotto scartato sui nostri campi a un massimo, quasi fisiologico, del 4%”. NaturaSì ha anche aderito con circa 100 negozi all’app contro lo spreco Too Good to Go, che ha permesso la vendita di 43mila magic box equivalenti ad altrettanti chilogrammi di cibo ‘salvato’. Nel 2020, invece, con il progetto Buon Fine della Coop, le cooperative di consumatori hanno donato 5mila tonnellate di derrate alimentari, in grado di generare non meno di 5,7 milioni di pasti, per un valore pari a 26 milioni di euro. A beneficiarne 960 associazioni di volontariato in tutta Italia. Le donazioni sono leggermente diminuite in tonnellate e valore (erano 5.900 nel 2019 per un valore di oltre 30 milioni di euro) in virtù della particolarità dell’anno appena concluso, ma è cresciuto il numero delle associazioni che di queste donazioni hanno beneficiato, di cui il 70% riguardano prodotti freschi e freschissimi. Coop ha sviluppato anche il modello Mangiami subito, attraverso la vendita di prodotti prossimi alla scadenza a prezzi scontati (in media il 50% a fine giornata) che nel corso del 2020 sono state pari a oltre 40 milioni di euro.

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