Il capo dello Stato lo ha definito un “governo di alto profilo, che non debba identificarsi con alcuna formula politica“. Ma questo non vuol dire che l’incarico affidato a Mario Draghi abbia dei paletti. Anzi. Sergio Mattarella ha dato carta bianca all’ex presidente della Bce. Un mandato “libero” che è riscontrabile anche nei tempi. Parlando alla Nazione il presidente della Repubblica ha spiegato più volte come occorra un esecutivo nel più breve tempo possibile. Ma è anche consapevole che la strada è sempre più stretta: per questo il mandato assegnato a Draghi non ha una data di scadenza.

Nel giorno in cui l’ex governatore di Bankitalia è salito al Colle non c’è ancora una agenda definita. Si parla di giuramento nel week end ma anche di consultazioni che potrebbero potrarsi fino alla prossima settimana. E non è un caso, fanno notare, che Draghi comincerà a vedere i partiti nel pomeriggio di giovedì, dopo più di 24 ore dall’aver ricevuto l’incarico: tempo che viene definito fondamentale per far decantare la situazione. Il puzzle da comporre, infatti, è fatto di tessere che giunti a questo punto sono difficili da incastrare tra loro. Nonostante Mattarella abbia fatto “un appello a tutte le forze politiche presenti in Parlamento perché conferiscano la fiducia” al “governo di alto profilo”, Draghi dovrà passare dalle forche caudine di un Parlamento animato dai veti. Fatta eccezione per Matteo Renzi, che ha provocato questa crisi e pensava a un governo tecnico sin dal principio, e il Pd, che ha risposto con “senso di responsabilità” all’appello del Colle, nessuno dei grandi partiti ha ancora sciolto la riserva. Persino Forza Italia, sulla carta uno dei primi sponsor di Draghi, aspetta di capire le politiche che il presidente incaricato intende seguire sulla giustizia, eterno spauracchio di Silvio Berlusconi pure ora che ha superato gli 84.

Lega e Movimento 5 stelle, i gruppi maggiori in Parlamento, per il momento non mostrano le loro carte. Matteo Salvini pronuncia la parola “elezioni” molto meno spesso rispetto al passato. “Serve un governo politico, basta tecnici. Io ministro? Ma se non so che vuole fare Draghi?”, dice a Lilli Gruber, senza mai chiudere la porta all’ex numero uno della Bce. Anzi si spinge a dire che “se c’è un progetto sono disposto a mettermi in gioco a prescindere dagli interessi della Lega, se c’è una squadra all’altezza e un progetto chiaro, se ci sono le condizioni partecipiamo assolutamente”. Se però gli chiedono se ha già avuto modo di parlare con Draghi, risponde: “Giorgetti lo conosce personalmente, io no”.

Dalla parte opposta i 5 stelle sono divisi. All’inizio il reggente Vito Crimi ha detto che non avrebbero votato il governo del presidente. Il dibattito coi gruppi parlamentari però ha aperto una discussione dall’esito non preventivabile. “Siamo stati compatti su Conte e dobbiamo continuare ad essere compatti. Con Conte il discorso non si chiude qui“, ha detto agli altri eletti Alfonso Bonafede. Simile l’intervento di Luigi Di Maio, che però segna un’evoluzione forse fondamentale nelle posizioni: “Io credo che il punto non sia attaccare o meno Draghi, Mario Draghi è un economista di fama internazionale che ha legittimamente e correttamente risposto a un appello del Capo dello Stato. Io credo che il punto qui sia un altro: la strada da intraprendere a mio avvisto è un’altra ovvero quella di un governo politico“. Con o senza Conte? Di Maio, che proprio quest’estate incontrò Draghi per un colloquio, pubblicamente non parla. Crimi, però, intanto ha dovuto concedere: “Il voto su Rousseau? E’ una ipotesi da non trascurare. Ovviamente dico ipotesi perchè dobbiamo aspettare che prima ci sia un contenuto reale da sottoporre, votare su una persona soltanto mi sembra riduttivo”. Insomma la discussione è in fieri. E nel frattempo il governo Draghi spunta l’ombra di Carlo Azeglio Ciampi versione 1993, quando fu chiamato a presidente un esecutivo tecnico-politico: c’era Alberto Ronchey ma pure Nicola Mancino.

È in questo modo che il presidente della Bce potrebbe dribblare i vari veti dei partiti: varare un esecutivo di personalità terze ma indicate dalle forze politiche che intendono sostenerlo. E pure qualche big di peso. Un’ipotesi amplificata dall’incontro con Giuseppe Conte. Il presidente incaricato e quello dimissionario sono rimasti a colloquio più di un’ora e alla fine qualcuno “soffia” alle agenzie di un’offerta dal primo al secondo: entrare nel nuovo esecutivo. Palazzo Chigi smentisce ma nei corridoi del potere la voce comincia a circolare. E diventa benzina per l’ipotesi di un governo tecnico-politico. È su questo che lavora il Pd. Non è un caso che Nicola Zingaretti e Dario Franceschini abbiano lanciato l’appello ai grillini per sostenere Draghi, chiedendo un incontro allargato pure a Leu. Due ore di vertice in videoconferenza dal quale alla fine emerge solo una volontà dei tre partiti del governo a continuare a dialogare per una futura alleanza: sul destino di Draghi, per il momento, ognuno va per sé.

Insomma è in questo reticolo di specchi e giochi di posizione che il presidente incaricato dovrà costruire la sua maggioranza. Mattarella non ha messo paletti né di colore e neanche di tempi. Sarà l’ex numero uno di Bankitalia che dovrà capire come ed entro quando potrà costruire la sua maggioranza. Ovviamente a Draghi farebbe comodo avere una squadra completamente di tecnici di sua fiducia, ma i colloqui con le forze politiche potrebbero cambiare le carte in tavola. I dem, per esempio, ragionano già sull’ipotetica conferma di Franceschini, Francesco Boccia e Roberto Gualtieri. Tra i 5 stelle i profili più adatti appaiono quello di Stefano Patuanelli. Ma con nomi così politici, è l’obiezione, la maggioranza Draghi non sarebbe molto diversa da quella del Conte 2. Certo il valore aggiunto sarebbe rappresentato dalla possibilità di attarre Forza Italia in quello che diventerebbe a tutti gli effetti uno schema Ursula, come quello che ha eletto la Von Der Leyen.

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