Continua il braccio di ferro tra Astrazeneca e Unione europea, anche se lo scontro potrebbe portare ai primi spirali. Il ministro della Salute belga Frank Vandenbroucke, su richiesta della Commissione Ue, ha fatto ispezionare l’impianto di Seneffe in cui vengono prodotti parte dei vaccini anti-Covid di AstraZeneca, dopo che il colosso farmaceutico anglo-svedese ha annunciato ritardi nelle consegne, proprio a causa di un calo della produzione nello stabilimento.

Dell’ispezione avevano parlato ieri fonti Ue, chiarendo che la possibilità di fare sopralluoghi a tutti gli stabilimenti produttivi inclusi nel contratto – 2 nel Regno Unito, uno in Belgio, e uno in Germania – è garantita da una clausola dell’accordo. L’ispezione è avvenuta ieri sera. Gli esperti dell’Agenzia federale dei medicinali belga, secondo indiscrezioni, hanno condotto il sopralluogo con colleghi italiani, olandesi e spagnoli, dato che la procedura in questi casi prevede la partecipazione di colleghi di altri Paesi. Nei prossimi giorni è attesa una relazione su quanto verificato dai tecnici.

Intanto l’amministratore delegato di Astrazeneca, Pascal Soriot, si sarebbe impegnato a consegnare all’Ue più dosi di vaccino di quante finora annunciate, già per febbraio, secondo quanto riporta la Frankfurter Allgemeine Zeitung in un’anticipazione. “Non è probabile che arriveremo alla fine a 80 milioni di dosi, ma dovrebbero essere decisamente più di 31”, scrive il giornale che pubblica le indiscrezioni, citando fonti europee. Originariamente erano previste per il primo trimestre 80 milioni di dosi per l’Europa, ma nel weekend l’impresa aveva reso noto che le dosi effettive sarebbero state 31 milioni, sollevando un’aspra polemica.

Intanto in attesa dell’approvazione da parte dell’Agenzia europea del farmaco (Ema) la Germania raccomanda solo per le persone di età compresa tra 18 e 64 anni. Da Londra Johnson assicura che i dati della somministrazione britannica – in corso già da diverse settimane – testimoniano di “una buona risposta immunitaria in tutti i gruppi di età“. Sul fronte produzione la società

AstraZeneca, in ritardo con le consegne dei vaccini contro il coronavirus in Europa, a breve inizierà a produrre oltre 90 milioni di dosi in Giappone secondo quanto riportano i media nipponici spiegando che l’azienda britannica in dicembre ha firmato con Tokyo un contratto per la fornitura di 120 milioni di vaccini, 30 dei quali saranno importati nel Paese del Sol Levante entro marzo. Per velocizzare il processo di approvvigionamento, AstraZeneca produrrà il vaccino in Giappone attraverso l’esternalizzazione a diverse aziende, inclusa la compagnia farmaceutica JCR, con sede nella prefettura di Hyogo. “È importante poter contare sul sistema di produzione del vaccino contro il Covid all’interno del nostro Paese”, ha detto il capo di gabinetto Katsunobu Kato durante una conferenza, rivelando come AstraZeneca abbia notificato l’esecutivo dei suoi piani mercoledì.

C’è poi un risvolto “molto amaro”, raccontato da due giornalisti britannici su Twitter, nella vicenda del vaccino Oxford AstraZeneca, su cui è in atto uno scontro tra la casa farmaceutica anglo svedese e l’Unione europea per tempi e ritmi della distribuzione. Come noto il vaccino è stato sviluppato in collaborazione con l’università di Oxford, anche perché AstraZeneca non è specializzata in questo tipo di produzioni. I ricercatori del prestigioso ateneo britannico avevano sottoscritto un impegno perché la licenza del nuovo preparato fosse non esclusiva (ossia qualsiasi casa farmaceutica avrebbe potuto avervi accesso) e libera da royalities, in sostanza gratuita. Ricordiamo che, come tutti gli altri, anche questo vaccino è stato sviluppato principalmente grazie al sostegno di fondi pubblici. In tutto sono arrivati circa 2 miliardi di euro, di cui 1,5 miliardi dai governi (di cui uno dagli Stati Uniti) e 336 milioni dall’Unione europea.

La linea dei ricercatori è stata però sconfessata con l’accordo di esclusiva siglato con Astrazenca. Dietro questa mossa ci sarebbe anche il governo britannico. Oxford avrebbe avuto diverse interlocuzioni con varie cause farmaceutiche che sono state però stoppate dal ministro della Sanità britannico Matt Hancock per ragioni di sicurezza nazionale e assicurarsi una linea di produzione all’interno del territorio nazionale. In sostanza il governo britannico avrebbe chiesto all’Università di Oxford di rinunciare al suo impegno iniziale di concedere licenze non esclusive a qualsiasi produttore interessato. La vicenda è ricostruita su Twitter dalla corrispondente da Bruxelles dell’Irish Time Naomi O’Leary e dal giornalista della Bbc Faisal Islam.

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