La rissa, a colpi di dichiarazioni, tra Astrazeneca e l’Unione europea sulle dosi del vaccino sviluppato dall’università di Oxford e sul contratto stipulato, non contempla al momento l’analisi di una cronologia molto chiara di quanto accaduto negli ultimi mesi e che porta a pensare che come sempre la verità sta nel mezzo. È vero che il Regno Unito il 21 maggio ha firmato un accordo, ma si trattava di una prelazione per 30 milioni di dosi (entro settembre su un totale di 100 milioni), ma è anche vero che Londra ne ha opzionato le altre 70 milioni, solo il 23 novembre, il giorno dell’annuncio dei risultati di fase 3 della sperimentazione. Tra maggio e novembre ci sono stati i colloqui con altri stati compresi Italia, Francia, Olanda e Germania, il miliardo incassato dagli Usa, le oscillazioni di Borsa molto favorevoli al colosso. Il pre contratto con l’Ue è stato firmato il 14 agosto e finalizzato il 28. Tre mesi prima del secondo più corposo accordo con Londra.

È il 30 aprile 2020 quando Pascal Soriot, amministratore delegato di Astrazeneca, in una intervista al Financial Times, dice: “Vogliamo essere pronti lanciare e fornire fino a 100 milioni di dosi” di vaccino entro la “fine dell’anno”. Una missione che non sembra impossibile al manager che elogia “l’esperienza dell’Università di Oxford” e “le capacità di sviluppo, manifattura e distribuzione di AstraZeneca”. Non era stato quindi ancora firmato il contratto con la Gran Bretagna ora sbandierato come il motivo per cui all’Unione europea non arriveranno le dosi promesse, ma le azioni del colosso anglo-svedese in Borsa cominciavano già valere di più.

Solo il 21 maggio arriva la notizia che erano stati firmati i primi accordi per la produzione di almeno 400 milioni di dosi del potenziale vaccino in sperimentazione con una capacità di produzione di un miliardo di dosi nel 2020 e 2021 e con l’avvio delle prime consegne a settembre. Germania, Francia, Italia, Paesi Bassi hanno già cominciato a muoversi. In campo sono scesi gli Usa con un finanziamento di un miliardo di dollari. Londra firma una prelazione di 30 milioni di dosi entro settembre e la multinazionale comunica che sta lavorando con altri governi europei, per assicurare una “ampia ed equa fornitura del vaccino nel mondo, con un modello no-profit, durante la pandemia“.

La pandemia viene definita da Soriot “una tragedia globale. Dobbiamo sconfiggere il virus insieme. Faremo tutto ciò che è in nostro potere per rendere questo vaccino disponibile velocemente e su larga scala”. Il sogno del vaccino democratico, a tempo di record e a costo di produzione, comunque è proficuo: a metà marzo una azione del colosso vale 6 sterline, a metà maggio 9 con un balzo del 50% in due mesi. Con il valore complessivo del gruppo che da 80 miliardi passa a 120. Oggi quel valore è di 102 miliardi e un’azione vale poco meno di 8 sterline. Il 14 agosto arriva il pre accordo con Bruxelles che viene formalizzato il 28. I quattro paesi, tra cui l’Italia, che avevano cominciato trattative in precedenza subentrano nell’accordo.

La corsa del vaccino verso il traguardo finale comincia a essere meno spedita. La sperimentazione del composto – a vettore virale studiato dagli inglesi – a settembre subisce uno stop temporaneo dell’arruolamento dei volontari per le verifiche necessarie su un caso di un’infezione spinale. Ripresa a tempo di record dopo una sospensione in quasi tutti i paesi coinvolti la sperimentazione viene conclusa a metà novembre. Il 23 novembre 2020 arriva l’annuncio che entro la fine dell’anno sarebbero state disponibili a livello mondiale circa 200 milioni di dosi e che la produzione avrebbe raggiunto i 700 milioni di dosi già marzo 2021 perché l’infialamento era iniziato da tempo. In quel caso a parlare nel corso d’una videoconferenza era stato Pam Cheng, vicepresidente del colosso farmaceutico, spiegando insieme a Soriot che, attraverso una rete di 20 centri di produzione sparsi nel mondo, sarebbe stato possibile sfornare nel 2021 da 100 a 200 milioni di dosi al mese per il mercato internazionale. Il Regno Unito intanto quel giorno opziona altre 70 milioni di dosi entro la primavera. Al mondo è stato dato l’annuncio che il vaccino ha un’efficacia fino al 90% con una dose e mezza, posologia raggiunta per caso o per errore a secondo delle versioni.

Tre giorni dopo la doccia fredda. Il candidato vaccino richiede studi “supplementari”. Soriot, intervistato da Bloomberg e con il fiato sul collo della comunità scientifica, ammette che i risultati dei test sono oggetto di richiesta di chiarimenti e di dubbi su alcuni dati. E la Food and drug administration chiede la ripetizione di tutta la fase 3. Studi supplementari avviati anche se alla fine all’Agenzia del farmaco europea non viene presentata la richiesta di autorizzazione della dose e mezza, ma quella doppia.

Intanto il 12 dicembre la multinazionale acquisisce Alexion Pharmaceuticals per 39 miliardi di dollari. Un’operazione con cui Astrazeneca punta a rafforzarsi nell’immunologia e nelle malattie rare. Due settimane dopo il 27 dicembre Soriot, intervistato dal Sundays Times, esulta perché il vaccino promette di essere una “formula vincente” contro il Covid-19 e si prevede sia efficace anche contro la cosiddetta variante britannica del virus. Notizia che ancora non ha trovato ancora conferma, non si sa se il vaccino – a differenza di quelli di Pfizer e Moderna – sia efficace contro le varianti. Il giorno dopo il Serum Institute di Pune (India) annuncia di aver prodotto circa 50 milioni di dosi del vaccino Covishield, realizzato dalla Oxford-Astrazeneca, anche se non è ancora arrivato il via libera dell’ente regolatorio. Due giorni dopo, il 30 dicembre, arriva il sì dell’Agenzia del farmaco inglese Mhra. Il vaccino viene approvato in Argentina e in altri paesi.

Il 4 gennaio l’India blocca l’esportazione delle dosi prodotte per tre mesi per destinarle tutte al mercato interno. Il 12 gennaio viene finalmente presentata la richiesta di autorizzazione all’Ema che deciderà entro il 29 gennaio. Ma intanto è scoppiata la triste guerra delle dosi, ma solo per l’Europa. A sorpresa il 19 gennaio l’India diffonde un comunicato che annuncia l’inizio delle esportazioni dei vaccini: nella lista dei paesi ricevitori ci sono Bhutan, Maldive, Bangladesh, Nepal, Myanmar e Seychelles, ma non il Brasile. Che ha comunque avviato trattative per l’acquisto di un nuovo lotto di vaccini, dopo aver ricevuto la scorsa settimana due milioni di dosi prodotti proprio nel Serum Institute. Il governo brasiliano paga il vaccino di Astrazeneca più del doppio di quanto lo ha pagato l’Unione europea. Il prezzo comunicato è di 5,25 dollari Usa a dose, lo stesso imposto al governo del Sudafrica. L’Unione europea ha invece negoziato un prezzo di 1,78 euro, pari a 2,16 dollari. Intanto il Sudafrica, che ha approvato il vaccino da pochi giorni, attende proprio dall’India il primo milione di dosi lunedì 1 febbraio.

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