di Francesco Sani*
100 anni fa, a Livorno, la fondazione del Partito Comunista Italiano. Una storia di uomini e donne che hanno lasciato una profonda eredità culturale nella regione.
Il 21 gennaio 1921, al Teatro Goldoni di Livorno, nel corso del XVII Congresso del Partito Socialista, una pattuglia di delegati guidati da Antonio Gramsci ruppe con la linea di Filippo Turati, accusato di riformismo. L’ala di sinistra, promovendo la separazione, decise di fondare così la sezione italiana dell’Internazionale Comunista sull’onda lunga della Rivoluzione d’Ottobre in Russia. Da quella pulsione scissionista – che ha segnato in eterno la sinistra nostrana – era nato il Partito Comunista Italiano, per tutti semplicemente “il PCI”.
Personalmente l’incontro con il PCI avvenne a fine primavera del 1990, l’anno della mia Prima Comunione. Con il mio amico Gianni, dopo i compiti, eravamo soliti fare camminate esplorative nella campagna di Vinci e un pomeriggio ci avventurammo fino alla Casa del Popolo di Petroio, sulla strada per Empoli. La porta del magazzino esterno era aperta e intrufolati dentro trovammo numerose bandiere rosse arrotolate, accatastate con ordine. Srotolato uno di quei drappi rossi ne osservammo lo stemma: una falce e martello gialla su sfondo rosso con ai bordi i colori della bandiera italiana e la sigla “PCI”. Non sapevamo che quello stemma lo aveva disegnato nientepopodimeno che Renato Guttuso e rappresentava il più grande partito comunista occidentale.
“Mio nonno è stato partigiano”, disse Gianni.
“Anche il mio” risposi.
Non ci era proprio chiaro cosa volesse dire, era qualcosa legato alla Seconda Guerra Mondiale, ma a scuola mica l’avevamo studiata ancora.
“Che facciamo, ne prendiamo una?”, proposi.
Giocavamo agli esploratori e quella poteva essere un bottino a dimostrazione della nostra scaltrezza. L’avremmo regalata a suo nonno. Ma rubare una bandiera del PCI prima della Festa dell’Unità ci sembrò come sottrarre in chiesa un personaggio dal presepe, così la riponemmo a posto. Oggi, trent’anni dopo, mi pento di non averla presa quella bandiera. Fu probabilmente l’ultima volta che ne vidi una, perché l’anno dopo il PCI si sciolse e tutte le bandiere furono riposte per sempre. Il 31 gennaio 1991, a Rimini, nel corso dell’ultimo Congresso, la maggioranza dei delegati votò per lo scioglimento del partito alla luce degli eventi internazionali che si stavano manifestando. Il Partito Democratico della Sinistra ebbe il compito di raccogliere l’eredità per i 10 milioni e 250mila persone che avevano votato comunista nel 1987, le ultime elezioni in cui si era presentato il partito che fu di Palmiro Togliatti, Nilde Iotti e Giorgio Napolitano.
Proprio nel 1991, vidi il film di Alessandro Benvenuti “Zitti e Mosca” e iniziai a capire qualcosa della faccenda. Girato tra Firenze, Fiesole e Pontassieve racconta il clima che precede la Festa dell’Unità nell’estate del 1991. La prima senza il PCI, tra anziani sostenitori della vecchia linea e giovani privi di qualsiasi velleità ideologica. Io la Festa dell’Unità, dove era solito portarmi il nonno, l’identificavo con l’inizio dell’estate e quegli adesivi che ci appiccicavano sulla maglietta all’ingresso. E ci tenevo a collezionarli per attaccarli poi sui quaderni di scuola. A 14 anni, quando mio padre mi parlò di Enrico Berlinguer – e del suo mitico comizio a Lamporecchio – avevo ormai capito tutto: mi ero perso il bello! La nostra generazione era proprio sfigata politicamente, proprio la prima che non aveva potuto votare per il PCI! Ma il PCI era morto nel 1984 con Berlinguer. Con lui erano stati sepolti il progetto dell’Eurocomunismo e di una Sinistra popolare come in Italia non ci sarebbe più stata.
Nel 2018, il 35% di quelli che nel 1987 avevano messo la croce su quella Sinistra falce e martello, hanno votato per il Movimento 5 Stelle e il 9% per la Lega di Salvini. Anche in Toscana, dove in certi comuni il PCI arrivava al 75% delle preferenze, la Lega è penetrata e oggi è il secondo partito della regione per numero di voti. Come è stato possibile? Perché ovunque è venuta meno “l’alternativa comunista”, ma soprattutto perché l’affermazione dell’ideologia neoliberista ha posto in secondo piano i temi dei diritti civili, sociali e dell’ambiente. Dagli anni 90 – per motivi demografici e tecnologici – è diventato più difficile fare politiche di redistribuzione del reddito, così anche i progressisti hanno finito per abbandonarsi all’illusione liberale. L’economia di mercato si sperava avrebbe risolto tutti i problemi di giustizia sociale, la Sinistra è diventata la “Terza Via” di Tony Blair che invece l’ha portata fuori strada! Ancora una volta la tendenza del Capitalismo di creare disuguaglianza si era affermata. La Toscana poi, fatta eccezione per il turismo, è in declino economico da vent’anni.
Se dovessi scegliere con poche parole come identificare il PCI – cioè l’impossibile perché ci vorrebbe un’enciclopedia – prenderei in prestito due frasi: “Il Partito Comunista Italiano ha avuto il pregio innegabile di dare a tutti e a ciascuno una identità, che è l’esatto opposto del vuoto contemporaneo” e l’altra “il Partito Comunista Italiano è un paese pulito all’interno di un paese marcio”.
La prima frase l’ha scritta Rossana Rossanda, la seconda Pier Paolo Pasolini, ovvero due tra le menti più lucide e brillanti del Novecento. Lei fu radiata dal partito, lui fu espulso… Perché il PCI a volte fu incapace di stare dietro alle sue anime di avanguardia, ma seppe sempre far tenere la schiena dritta alla democrazia italiana. Nella sua storia si è rassegnato solo nell’accettare l’Italia come membro della Nato, non c’era da fare altrimenti, non si poteva rischiare di fare la fine del Cile di Salvador Allende… Però il PCI non si è mai tirato indietro nei “tornanti della Storia”, ovvero quando bisognava sconfiggere il Fascismo, scrivere la Costituzione, ricostruire e modernizzare il Paese, far progredire i diritti civili e quelli dei lavoratori e fare argine al terrorismo politico degli Anni di Piombo.
Quindi ce ne faremo una ragione se l’On. Giorgia Meloni, con il suo partito di patrioti, grida alla vergogna perché il Centenario del PCI è stato dichiarato ammissibile di finanziamento per iniziative culturali con un emendamento alla Legge di Bilancio.
Anzi, ci fa ridere la sua vergogna perché noi, che identifichiamo il PCI con il volto bonario dei nostri nonni partigiani, non abbiamo nulla di cui vergognarci.
*giornalista pubblicista, è responsabile di redazione della rivista Firenze Urban Lifestyle. Le foto di questo articolo sono tratte dal progetto “Le Case del Pop” di GroomingPhoto – Marina Arienzale/ Matteo Cesari.