L’attacco alla “stanca retorica del modello italiano”, i chiodi fissi della riforma della prescrizione, del titolo V e del bicameralismo perfetto, le critiche al reddito di cittadinanza (che con il recovery plan non c’entra nulla) e il Ponte sullo Stretto definito “irrinunciabile“. Nel documento consegnato dalla delegazione di Italia viva al ministro dell’Economia Roberto Gualtieri e al titolare degli Affari europei Enzo Amendola ci sono tutti gli slogan snocciolati da Matteo Renzi nell’anticipare la presentazione dei sessanta “punti su cui non siamo d’accordo” tra quelli elencati nella bozza di piano di ripresa per accedere al Next generation Eu preparata dal governo. Ma il grande assente – o quasi – è il “piano Ciao” che l’ex premier aveva presentato come una visione di futuro alternativa rispetto a quella del premier Giuseppe Conte, definita “collage raffazzonato” di proposte di diversi ministeri “senza ambizione e senz’anima“. Ecco, sulle 33 pagine consegnate dai renziani a Gualtieri il piano Ciao ne occupa mezza: 13 righe in tutto su cultura, infrastrutture, ambiente e opportunità.

Le altre 30 (tolto il frontespizio e una breve presentazione rivolta al ministro) sono dedicate alle 62 “criticità” rilevate nella bozza governativa. Osservazioni in gran parte politiche e “di forma“, più che tecniche e nel merito dei contenuti. Si tirano in ballo tra il resto la giustizia, le misure anti povertà e i servizi segreti, che poco hanno a che vedere con i finanziamenti in arrivo da Bruxelles. Qua e là spuntano alcune idee e suggestioni che spesso però corrispondono a contenuti già presenti nel Recovery plan di Palazzo Chigi: vedi il potenziamento degli Istituti tecnici superiori, le partnership pubblico-private per la ricerca e il trasferimento tecnologico, gli interventi per la disabilità.

Ecco il documento portato a Gualtieri da Italia Viva

Anche sulla task force il problema è di “forma” – La prima rimostranza è che “progetti di questo tipo solitamente hanno un Executive Summary e poi un’analisi dettagliata. Così ad esempio France Relance” (che non è il Recovery plan francese: comprende anche risorse nazionali). Ma la bozza arrivata in cdm il 7 dicembre – comunque tutt’altro che definitiva, come si è visto dai successivi aggiornamenti – conteneva in realtà una prima parte dedicata agli obiettivi generali del piano con tanto di tabella riassuntiva degli stanziamenti immaginati per ogni voce. “Non servono progetti nascosti nei cassetti e tirati fuori all’ultimo minuto. Occorre trasparenza”, ribadisce poi il partito dell’ex premier, sorvolando sui numerosi incontri del Comitato tecnico di Valutazione costituito presso il Comitato affari europei a cui hanno partecipato rappresentanti dei ministeri. “Non possiamo accettare un documento senza una visione, non possiamo essere complici del più grande spreco di denaro pubblico“. E ancora: “Il documento è chiaramente un collage di testi diversi. Per noi serve una penna sola per tutto il testo, non una collazione di diversi brani”. Quanto alla prevista e tanto criticata task force per la gestione dei progetti, “non pensiamo che si possa fare a meno di unità di missione e di commissari“. Sempre questione di forma, insomma: “Clamoroso errore partire dalla Governance senza avere una visione chiara: è burocratismo creare missioni senza aver chiarito prima che cosa si vuol fare”.

No all’Italia come modello: “Approccio provinciale” – Non vanno bene le critiche alle politiche del passato – “serve a garantire il consenso interno ma getta una pessima luce sulla capacità di fare squadra del nostro Paese” – e nemmeno citare l’Italia come modello nella gestione del coronavirus: “non siamo un modello, anzi! Nella gestione dell’emergenza il nostro personale sanitario è stato eroico ma abbiamo numeri peggiori degli altri, siamo tra i peggiori al mondo per numero di morti nonostante un lockdown più duro degli altri con conseguenze economiche devastanti, la Germania ha nei primi due giorni vaccinato un numero di persone superiore di cinque volte ai nostri vaccinati: cosa ci fa pensare che possiamo ergerci a modelli per gli altri?”. Il giudizio finale è che si tratta di “un approccio provinciale” che “funziona per sondaggi e talkshow ma purtroppo non corrisponde al vero”.

Sbagliato anche “parlare di una “ampia consultazione di stakeholder”: “Vero che si è fatta la commissione Colao ma definire questa una consultazione non ha senso: (…) Forse vale la pena aprirsi per due settimane a un dibattito vero con il Paese, con le associazioni di categoria, con il mondo produttivo, con il terzo settore anziché definire ampia consultazione di stakeholder ciò che è accaduto in questi mesi, a cominciare dagli Stati Generali“.

Nel mirino pure la riforma della prescrizione e il titolo V – Nel mirino finisce poi la riforma della prescrizione, citata nella bozza del Recovery solo per ricordarne i motivi e sottolineare che ora occorre fare passi avanti anche nella riduzione della durata dei processi, cosa che la Commissione Ue ci chiede da anni. “Il nodo della riforma della prescrizione è tutt’altro che risolto, visto che è oggetto della riforma del processo penale ed è attualmente in fase di stallo. Non avendo condiviso il compromesso individuato, per noi resta un problema prioritario da affrontare”, scrive Iv. Così come la riforma del Csm “che non sarà in grado di eliminare la degenerazione correntizia e nemmeno di consentire una vera valorizzazione del merito”. In generale, per i renziani è fondamentale “riaffermare senza tentennamenti una cultura giuridica e politica garantista in linea con la nostra Costituzione, troppo spesso messa in discussione con le parole e coi fatti dal governo oltre che da alcune forze politiche”. Tutte notazioni che sembrano fatte apposta per rinfocolare le tensioni tra anime della maggioranza.

Poi si tira in mezzo anche la “scarsa attenzione alle riforme istituzionali” perché “che il titolo V non funzioni lo ha dimostrato questa terribile pandemia. Che il bicameralismo paritario non stia in piedi lo ha dimostrato la gestione parlamentare di questo 2020. Che il Cnel non sia utile lo dimostra il fatto che il Governo crea task force ma non coinvolge mai quella che in teoria dovrebbe essere allo stesso tempo la task force e la casa degli Stati Generali. Finché non si avrà il coraggio di dire che servono riforme costituzionali vere non si risolveranno i problemi strutturali di questo Paese”.

Superbonus “moralmente ingiusto” – Sembra un attacco diretto ai 5 Stelle anche la critica al superbonus 110% che lamanovra votata anche da Italia viva ha appena prorogato fino alla fine del 2022. “A nostro giudizio la quantità di denari per il superbonus 110% è eccessiva e immotivata. Spendere per il superbonus più di quanto si spenda per ospedali, carceri, case popolari, scuole è moralmente ingiusto e politicamente sbagliato”.

“Ponte sullo Stretto irrinunciabile” – Venendo alla parte sulle infrastrutture, per Italia viva è increscioso che nella bozza si citi “tutta l’alta velocità escludendo il Ponte sullo stretto di Messina (viene scritto che si arriva a Reggio Calabria e si riparte a Messina). Sappiamo che il Ponte in quanto tale non è opera finanziabile con il Recovery ma sappiamo anche che i soldi che arriveranno sulle infrastrutture rendono il ponte irrinunciabile logicamente e più facile da realizzarsi”. La grande opera sognata da Silvio Berlusconi e definitivamente archiviata dal governo Monti, va detto, era stata riportata alla ribalta l’estate scorsa pure da un gruppo di deputati Pd.

Torna la polemica sui fondi per progetti “vecchi” – Il documento torna anche sulla polemica riguardo al fatto che una parte troppo piccola di prestiti europei sarebbe utilizzata per progetti “nuovi” mentre “il 70% dei prestiti” andrebbe a “finanziare a condizioni migliori spese già previste in bilancio”. L’osservazione non tiene conto del fatto che nelle nuove bozze quella quota è già stata aumentata, oltre al fatto che lo stesso Mario Draghi – citato da Iv per sostenere la propria tesi – ha in realtà affermato che l’importante è che i progetti abbiano “rendimento sociale elevato”: non importa se nuovi o vecchi, devono essere utili. I renziani non la vedono così: “Stiamo forse dicendo che abbiamo a disposizione progetti del genere solo per poco più della metà delle risorse? Mentre per il resto non abbiamo migliore utilizzo che il finanziamento di spese “vecchie”, al solo scopo di risparmiare spesa per interessi (una finalità nobile ma che tuttavia si nega per il Mes sanitario)?”.

Reddito di cittadinanza? “Impiegare meglio quei soldi” – Il reddito di cittadinanza non verrà ovviamente rifinanziato con risorse europee. Ma la delegazione di Iv non perde occasione per criticarlo e proporre di spendere quei soldi in altro modo: “A pagina 74 si dice che ha contribuito a ridurre la povertà assoluta dal 7 al 6.4%. Se questi sono i numeri possiamo ben dire che il reddito ha fallito. Per sostenere che questa misura abbia abolito la povertà, bisogna prima abolire la matematica. Vale la pena capire come meglio impiegare quei soldi, a cominciare dai progetti per l’occupazione giovanile, per la lotta alla povertà, per l’abbassamento del costo del lavoro“.

“Occupazione giovanile grande assente”. Ma c’è – Occupazione giovanile, appunto: stando al documento è “il grande assente. Si chiama Next Generation Eu ma questo piano prende ai giovani i soldi con il debito e non restituisce quanto dovrebbe”. In realtà la bozza la cita, proponendo una “revisione strutturale delle politiche attive del lavoro e dei servizi sociali e modernizzazione del mercato del lavoro al fine di migliorare l’occupazione e l’occupabilità, soprattutto giovanile, e in particolare dei Neet, delle donne e dei gruppi vulnerabili“. Non entra nel dettaglio, perché come è noto i singoli progetti sono ancora in fase di selezione. I renziani propongano un’idea copiata dal regno Unito, una specie di garanzia giovani potenziata per i Neet.

L’affondo su cyber security e servizi – Infine non poteva mancare un capitolo sulla Cyber security: “Non ci convince l’ipotesi di istituire un centro di sviluppo e ricerca sulla cyber security che opererà con partenariati pubblici e privati dal momento che non ne sono stati discussi i confini e i contenuti. Peraltro, occorrerebbe capire in che modo opererà questo centro alla luce della annunciata (e allo stato attuale non condivisa) costituzione di una fondazione per la cyber security che dovrebbe rispondere unicamente al governo. La preoccupazione è acuita anche dalla ribadita intenzione che ha espresso il Presidente del Consiglio di non attribuire la delega ai servizi, la cui gestione è accentrata nelle sue mani ormai da 2 anni e mezzo. Su questa scelta Italia Viva esprime un radicale dissenso”. Conte nella conferenza di fine anno ha ricordato che “la legge del 2007 attribuisce al presidente del Consiglio la responsabilità politica e giuridica sulla sicurezza nazionale, ne rispondo comunque, che mi avvalga o meno della facoltà, non è obbligatorio. Queste funzioni non sono delegabili”. In ogni caso “abbiamo un organismo, il Copasir, che ha funzioni di vigilanza e controllo sull’operato del presidente del Consiglio e le Agenzie di intelligence, che garantisce rispetto dell’interesse generale. Chi chiede al Presidente del Consiglio di dover delegare deve spiegare perché, non si fida del presidente del Consiglio? Allora bisogna cambiare la legge”.

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