Prima avvertenza: non è l’equivalente del Piano di ripresa e resilienza di cui Roma sta preparando una bozza da discutere con Bruxelles. France Relance, il documento presentato il 3 settembre dal premier francese Jean Castex e da Emmanuel Macron, non sostituisce il Plan national pour la relance, che sarà pronto a gennaio come quello italiano. Il pacchetto che mira a “costruire la Francia del 2030” è una cornice molto più ampia in cui i 40 miliardi di sussidi spettanti a Parigi a valere sul Recovery fund si affiancano al terzo decreto di risposta all’emergenza Covid (approvato a luglio) e agli interventi della prossima Finanziaria. I 100 miliardi complessivi, dunque, comprendono misure già operative e altre di là da venire. Oltralpe, France Relance è stato accolto positivamente per quanto riguarda la portata complessiva, ma con molte critiche da sinistra per un eccessivo sbilanciamento a favore delle imprese e scarsa attenzione alle fasce vulnerabili.

Non è il Recovery plan francese – Come specificato dal presidente stesso, la “strategia di investimenti e riforme” da sottoporre alla Commissione sarà presentata “a inizio 2021”. Anche se in Italia molti hanno commentato France Relance come “prova” del fatto che il governo francese si sarebbe mosso più rapidamente di quello italiano per avere accesso ai fondi Ue. “Il Governo francese ha presentato un dettagliato piano di rilancio. Noi annunciamo centinaia di progetti sulla scrivania di Gualtieri”, ha twittato per esempio Carlo Calenda, mentre il leader di Italia viva Matteo Renzi ha fatto subito appello a Conte: “Signor presidente del Consiglio, prenda esempio da Macron”. E anche secondo la presidente dei senatori di Forza Italia Anna Maria Bernini “la Francia ha già pronto il suo piano per il Recovery Fund, con tanto di tabelle dettagliatissime su costi ed effetti”.

Tre pilastri e 95 progetti. Con 20 miliardi di minori tasse alle imprese – Macron, con un termine che gli è caro, lo ha definito un “acceleratore di sovranità” con cui “la nostra Nazione riprende in mano il suo destino economico”. Retorica a parte, davanti a un pil previsto quest’anno in calo del 10% circa l’ambizione è quella di riportare in patria la produzione di beni essenziali e investire nei settori che creeranno i posti di lavoro di domani. Le 296 pagine pubblicate sul sito del ministero dell’Economia guidato da Bruno Le Maire individuano tre “pilastri”. Ecologia, a cui saranno destinati 30 miliardi, Competitività, con interventi per 34 miliardi tra cui 11 al programma di innovazione “Investimenti per il futuro“, e Coesione, a cui vanno 36 miliardi di cui 7,6 per gli schemi di Activité partielle, equivalente della nostra cig. Mentre monta la seconda ondata di Covid 19, per la sanità ci sono 6 miliardi ma spalmati su cinque anni. Tra le 95 misure previste, la parte del leone la fanno i 20 miliardi di tagli delle imposte sulla produzione in un biennio.

Dal nucleare al sostegno ad auto e settore aeronautico – Non manca ovviamente l’ampliamento della cassa integrazione e ci sono anche incentivi per l’efficientamento energetico e la mobilità sostenibile e sostegno statale alla capitalizzazione delle pmi, molto simili a provvedimenti già adottati in Italia. Sotto la voce “Tecnologie verdi” ci sono quattro misure, dallo sviluppo di una filiera dell’idrogeno al sostegno al nucleare (come indicatore di efficacia sono indicati i posti di lavoro creati nei due settori) fino al già avviato piano di aiuto ai settori automobilistico e aeronautico attraverso un fondo di investimento ad hoc e bandi della banca pubblica Bpi. Il capitolo più pesante della sezione Ecologia – 4,7 miliardi – riguarda però rinnovamento ed efficientamento del settore ferroviario.

“Solo 37 miliardi sono investimenti” – “Molti interventi sono già in vigore: difficile quantificare il peso delle misure nuove rispetto a quelle approvate nei mesi scorsi”, commenta Francesco Saraceno, che insegna macroeconomia internazionale ed europea a Sciences Po ed è vicedirettore del centro di ricerca sulle congiunture economiche Ofce. “Io e un collega abbiamo calcolato che su 100 miliardi solo 37 sono di investimenti: il resto è spesa corrente, vedi i fondi per la cassa integrazione e i 20 miliardi di tagli delle tasse per le imprese”. La scelta fatta, “in linea con le politiche messe in campo da Macron fin dal 2017, è quella di sostenere l’offerta aggregata e non la domanda”. Insomma: molte risorse destinate alle imprese, “poche alle famiglie e alla riduzione della disuguaglianza. Per il sostegno alle persone in forte difficoltà ci sono per esempio solo 800 milioni, sui 100 miliardi totali”. Tuttavia, dal punto di vista macroeconomico la strategia “sembra ragionevole in una fase in cui si cerca di innescare una transizione verde” e rafforzare la competitività.

Il dibattito sugli aiuti alle aziende senza condizioni – Rispetto al dibattito italiano sul Recovery plan prossimo venturo, nota Saraceno, “qui è stata riservata meno attenzione al digitale (anche se sono previsti 2,6 miliardi di finanziamenti ad hoc per le imprese e 1,5 per la digitalizzazione della pa). In compenso a sinistra c’è molto dibattito, che in Italia non vedo, sul fatto che gli aiuti alle imprese debbano essere condizionati a loro impegni su aspetti come la transizione ecologica e l’uguaglianza di genere. Il ragionamento è che, se la collettività le sostiene, devono farsi carico di alcune preoccupazioni della collettività”. A partire dalla tutela dei posti di lavoro. “Danno soldi a Renault e Air France per cosa?”, ha attaccato per esempio Philippe Martinez, segretario generale della Confédération générale du travail, la “Cgil francese”. “Per fargli fare licenziamenti“. Entrambe in effetti hanno annunciato tagli, come Airbus e Sanofi, e il 17 settembre ci sono stati scioperi in tutto il Paese.

Le critiche degli ambientalisti e di Piketty – Per la transizione green, come detto, ci sono 30 miliardi. Ma il giudizio delle associazioni ambientaliste è stato negativo: come ha fatto notare Arnaud Schwartz di France Nature Environnement, non sono abbastanza se “la Francia continua a sostenere con forza i combustibili fossili e prevede 20 miliardi di euro di riduzione delle tasse sulla produzione in due anni senza compensazione ambientale“. E si torna così al nodo delle mancate “condizionalità” negli aiuti alle imprese. Anche l’economista Thomas Piketty, studioso delle disuguaglianze di reddito e ricchezza e autore del best seller Il capitale nel XXI secolo, ha bocciato il piano per insufficiente attenzione alle fasce deboli: “Trascura completamente la domanda di giustizia sociale che si è espressa nel Paese negli ultimi anni e che è ancora molto forte, perché la crisi ha reso ancora più precaria parte della popolazione”, è il suo giudizio. “E’ molto centrato sulle aziende” a scapito del settore pubblico, mentre “sarebbe stato necessario investire molto di più in salute e ricerca, per creare posti di lavoro pubblici e aumentare i salari“.

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