Non c’è “un particolare ritardo italiano” nella presentazione del Recovery plan a Bruxelles. Quello che preoccupa Paolo Gentiloni, commissario europeo per gli Affari Economici, è “l’attuazione, l’esecuzione”. Perché “il diavolo – dice l’ex premier intervistato da Repubblica – non è nei dettagli del piano ma nelle procedure per eseguirlo. Vista l’esperienza che abbiamo in Paesi come Italia e Spagna sulla difficoltà dell’assorbimento delle risorse europee si tratta di una sfida enorme perché questi fondi vanno impegnati entro il 2023 e spesi entro il 2026. Servono quindi procedure straordinarie e corsie preferenziali, ovvero uno sforzo straordinario”. Procedure che “solo il Parlamento può creare. Servono leggi. Nessuna autorità politica o tecnica può fare miracoli se non si sbloccano i colli di bottiglia sul piano normativo”. Nell’intervista, il commissario – per la prima volta – dice anche di comprendere le motivazioni politiche per cui l’Italia non intende chiedere i prestiti del Mes, che pure lui stesso ha più volte definito molto convenienti per il Paese sottolineando come per la linea di credito pandemica non siano previste condizionalità.

Commentando i contenuti della bozza di Recovery plan circolata nelle scorse settimane e ora in fase di modifica, Gentiloni osserva che “la parte generale del piano, grazie al lavoro coordinato dal ministro per le Politiche comunitarie Enzo Amendola, è coerente con le priorità indicate dalla Commissione Ue su Green Deal, resilienza ed innovazione digitale. Su questo l’Italia è in linea e sono certo che il confronto politico e con le parti sociali – prosegue – potrà arricchire la proposta iniziale”.

Infondata, poi, la polemica sulle scarse risorse “aggiuntive” rispetto a quelle usate per finanziare progetti preesistenti: come il Mes, rispetto al quale Gentiloni afferma di poter “capire i motivi politici per cui non si accede”, anche i prestiti della Recovery and Resilience Facility “fanno aumentare il debito e fa bene il governo a proporne un utilizzo prudente, anche sostituendo spese già previste, sempre che queste siano compatibili con gli obiettivi comuni europei”.

Le “osservazioni” dell’ex presidente del Consiglio riguardano invece da un lato l’attuazione, dall’altro il fatto che “le spese da fare devono essere prevalentemente su investimenti e riforme. Non bastano gli incentivi, che pur non essendo esclusi non sono una priorità”. Il riferimento potrebbe essere al superbonus edilizio che stando all’ultima bozza del piano assorbirebbe 22 miliardi. “Poi ci sono alcune spese che la Commissione Ue in generale non considera accettabili: quelle che danneggiano l’ambiente o che tendono a favorire consensi effimeri. Questa tipologia di spese non è prevista dai piani finanziati col debito comune. Ciò significa – continua Gentiloni – che se i governi scriveranno piani con questi interventi, saranno rivisti dalla Commissione Ue”.

Infine, quando rientreranno in vigore le regole del Patto di stabilità? “Lo decideremo fra aprile e giugno. Bisogna aspettare le ratifiche nazionali del Recovery e avere più chiarezza sull’andamento delle economie per valutare la persistenza di una crisi grave in tutta l’Ue. Dunque la clausola di sospensione resterà valida almeno fino a fine 2021“. Alla domanda se ritiene che il Patto dovrà essere modificato, il commissario risponde: “È abbastanza ovvio che nel 2022 ci troveremo ancora con un debito pubblico in media nell’Eurozona fra il 102 e 104%. E con una media Ocse attorno al 130 per cento. Quindi il mondo dopo la pandemia vedrà un notevole incremento del debito pubblico, mentre i Trattati parlano del 60. Servirà così una discussione sulle nuove regole fiscali ed anche una fase transitoria per arrivarci. Non sarà una discussione facile fra i Paesi dell’Ue, ma è necessaria: non siamo più nelle condizioni dell’epoca del Trattato di Maastricht”.

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