La prima finestra di bel tempo è prevista intorno al 28 dicembre, e chissà se alla fine, in questo “annus horribilis”, cadrà anche la vetta invernale del K2, l’ultimo grande problema alpinistico, come dicono gli addetti ai lavori. Conta di arrivare primo, nella sfida mai vinta alla più problematica delle più alte montagne del mondo, Nirmal ‘Nimsday’ Purja, quell’impavida macchina da guerra – letteralmente, dopo 14 anni di onorato servizio tra i Gurkha nepalesi, forze speciali dell’esercito britannico – che ha al suo attivo tanti record, tra cui il recente e stupefacente concatenamento dei 14 Ottomila in sei mesi e sei giorni.

Abituato ad agire più veloce e leggero, con il supporto dei suoi parenti e colleghi dell’Elite Himalayan Adventures, Nirmal è arrivato al campo base del K2 quando già da alcuni giorni erano in azione un pugno di alpinisti, tra cui l’islandese John Snorri, e soprattutto alcuni altri tra i fortissimi amici-rivali del Nepal. Avevano già cominciato a preparare la traccia di salita con le corde fisse Chhang Dawa e Mingma Sherpa, anche loro recordmen sugli Ottomila, “World’s First Two Brothers”, tra l’altro, ovvero i primi due fratelli al mondo ad averli scalati tutti. Il più giovane, Dawa Sherpa, è il leader della spedizione commerciale più incredibile che sia stata mai organizzata, allestita dagli americani della Seven Summit Treks (SST), per una trentina di facoltosi clienti.

Ma a far girare la sfida sono pure gli interessi commerciali delle aziende del settore: la Millet vorrebbe festeggiare il centenario con la fatidica foto in vetta della sua tuta speciale per Sergi Mingote, super-alpinista guida per SST; la nostra Scarpa mette ai piedi di Nirmal Purja il suo scarpone di punta, e via elencando. Quale sia il giro d’affari del K2 Winter 2020-21 non è però valutabile: lo stesso prezzo d’agenzia di SST non è divulgato, si sa solo che è di 130mila dollari a cliente la tariffa per la spedizione di punta nella stagione normale, la VVip Everest, dove ciascun fortunato avrà a disposizione una guida, tre sherpa e tre bombole d’ossigeno di riserva, un fotografo, un cuoco, una tenda lodge al campo base, rifornimenti quotidiani di frutta, verdura e carne fresca, con un via vai d’elicotteri che servono ovviamente anche per i transfert… Così scalano – si fa per dire – le very important persons, appunto, con due V maiuscole.

Il paradosso è che adesso cominciano a storcere la bocca apertamente contro questa degenerazione anche gli addetti ai lavori dell’alpinismo ‘spedizionista’ delle alte quote, a partire da Agostino Da Polenza, che si è augurato che il K2 resista e “urli forte contro il business”. Parole dure per uno che è stato persino team leader della celebrazione ufficiale dell’italica conquista del Karakorum 2 attraverso lo sperone degli Abruzzi, “K2-2004, 50 anni dopo”, evento memorabile anche per la presenza dell’allora ministro e ‘capo spedizione onorario’ Gianni Alemanno, che sperava di arrivare almeno al Campo Uno, quota 5mila e rotti, 3mila e 500 metri sotto la vetta, forse per la sua nota competenza sulle ‘terre di mezzo’.

Con precisione da professionista Da Polenza ha calcolato che “la possibilità di successo è, dati i campioni in campo e il peso degli sherpa con ossigeno, attorno al 20%. La possibilità che ci siano vittime, il plurale non è casuale, è molto elevata, del 70/80%. La situazione del resto ricorda, come altri commentatori hanno già detto, quella dell’Everest nel 1996. Speriamo non negli esiti nefasti” (ci furono 9 morti, in una tragedia raccontata dal libro “Aria Sottile” e da due film, ndr). Si noti che il sito Montagna.tv, uso a sfogliare la margherita degli stessi sponsor di questo de-genere d’alpinismo nella sezione Vetrina, ha nascosto questa presa di posizione sotto a un titolo anodino.

Ora, arrivare ad augurarsi la disfatta di tutti gli aspiranti scalatori d’inverno del K2 è forse poco elegante, ma almeno a quelli dell’SST una qualche maledizione anche solo per lo scempio ambientale, in un luogo che sarebbe tanto incontaminato, verrebbe spontaneo lanciarla.

Uno dei problemi principali che devono affrontare gli sherpa, per dire, è ripulire dall’orribile trappola di corde abbandonate a 6mila e 600 metri il passaggio più difficile, per preparare la via artificiale di salita nel cosiddetto Camino Bill (come ben documentato dalle foto riprodotte). Chissà dove andrà a finire tutta questa spazzatura di nylon, kevlar e altre fibre sintetiche oltremodo inquinanti, per non dire di tutto quanto viene sparso in giro, feci incluse.

Ecco un bel compito che, di rigore, dovrebbero darsi le stesse aziende che finanziano queste spedizioni, se proprio non vogliono cambiare strada: la mitigazione e compensazione del disastro ambientale specifico di ciascuna impresa, che comprende anche le ricadute per la pubblicizzazione stessa, che richiede un via vai aggiuntivo di fotografi, cameraman, tecnici e droni. Anzi, dovremmo essere tutti noi utenti finali dei prodotti per la montagna a pretendere e imporre una diversa etica ai marchi del settore, scelta che del resto hanno lodevolmente già intrapreso alcuni imprenditori, vedi la Montura trentina, nonché alcuni dei testimonial più famosi, come Killian Jornet.

Il folle baraccone di questi giorni al K2 (si tratta pur sempre di una salita finora impossibile, tra venti gelidi che possono picchiare anche a meno 65!) vede comunque coinvolti tanti alpinisti di primo piano, come guide e/o aggregati, tra cui gli italiani Mattia Conte, un ammirevole appassionato milanese chiamato in squadra da Mingote, e la campionessa altoatesina Tamara Lunger, già compagna di cordata di Simone Moro.

Ora, fa una certa impressione pensare che, in questo periodo di pandemia e tabù da assembramento e da socialità, possa esserci, proprio sotto al K2 d’inverno, un incredibile affollamento di alpinisti, guide e portatori da tutto il mondo. Se ne contano due belle centinaia solo di questi facchini d’alta quota, che almeno loro strappano davvero a fatica un tozzo di pane per le proprie famiglie, reggendo il peso delle comodità per i picchiatelli ricchi viziati occidentali.

Ovviamente ci sono poi almeno i soliti polacchi che si portano tutto in spalla, cibo e vestiti e corde da casa, pur di risparmiare un po’: emuli del loro più grande alpinista d’alta quota, Krzysztof Wielicki, primo degli scalatori invernali puristi, l’unico uomo ad essere salito d’inverno in solitaria su un Ottomila. Ma questa è un’altra musica.

Foto in evidenza tratta dalla pagina Facebook Seven Summit Treks (SST)

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