Gli articoli pubblicati su Libero e firmati da Vittorio Feltri (I cocainomani vanno evitati. Ingenua la ragazza) e Filippo Facci (Uno stupro è uno stupro ma chi va al Mulino si infarina. Cosa non vi hanno raccontato dei party horror) sono inaccettabili. Hanno contenuti stigmatizzabili che vanno al di là di pessimo giornalismo e sono un’offesa alle vittime di stupro ma anche a tutte le donne.

Nella sottocultura machista e misogina, lo stupro nei confronti di una donna, è un messaggio rivolto a tutte le donne e all’intera collettività. Con lo stupro si celebra il trionfo sul corpo femminile, su quel corpo potente che mette al mondo e genera. In guerra, il corpo delle donne diventa un campo di battaglia perché si colpiscono le donne per colpire il nemico.

In tempo di pace, lo stupro è il segnale di una guerra che continua, soprattutto tra le pareti domestiche, nelle relazioni di intimità (solo il 3% delle violenze sessuali avviene ad opera di sconosciuti). Ma la violenza, ammesso che una donna sopravviva fisicamente o psicologicamente, raramente termina con l’aggressione. Il processo di de-umanizzazione cominciato con lo stupro continua anche dopo.

C’è la violenza delle istituzioni che non riconoscono giustizia alle vittime e non credono alle loro parole sulla base di pregiudizi; c’è la violenza della collettività che colpevolizza e isola le donne che hanno svelato la violenza e talvolta le costringe a lasciare le città dove hanno sempre vissuto, o i posti di lavoro, o a non frequentare più amici e talvolta persino i familiari si allontanano. La donna muore in se stessa e il percorso di rinascita è lungo, è doloroso e diventa ancora più difficile da realizzare se il contesto è inquinato da una ostilità collettiva.

I media che espongono le vittime alla gogna, influenzano e fomentano la misoginia dell’opinione pubblica, negando alle donne vittime di stupro, il riconoscimento collettivo del trauma e dell’offesa. Questo è l’aspetto peggiore e più deleterio per chi denuncia una violenza.

La deprecabile narrazione dei fatti che hanno coinvolto Alberto Genovese, così come è stata fatta da Libero quotidiano, è una vera e propria presa di posizione contro una donna che ha denunciato uno stupro ma anche contro tutte le donne. Nulla le è stato risparmiato, nemmeno il dileggio. Nella attenuazione delle responsabilità dell’uomo accusato, hanno avuto un peso i pregiudizi sessisti ma soprattutto il suo status sociale ed economico: è bianco, italiano e soprattutto ricco. Se fosse stato un immigrato, Libero avrebbe scritto che era “una bestia” (Libero sullo stupro di Rimini – 2017).

Se invece fosse stato un pakistano che banalizzava lo stupro avvenuto a Rimini, avremmo letto titoli allarmistici sull’inciviltà che avanza. Così avvenne nel 2017 con l’articolo Ecco cosa attende le italiane se non sapremo opporci alla civiltà islamica firmato da Filippo Facci, lo stesso che sulla vicenda Genovese e sull’ipotesi di altre violenze ha scritto: “lo stupro è un fatto ma può diventare un’opinione”. Secondo il giornalista di Libero, la violenza sessuale è qualcosa di relativo e forse la sua opinione è condizionata dallo status sociale dello stupratore? Il denaro spesso, conquista coscienze anche senza essere sborsato.

Che cosa si deve pensare di due giornalisti che con cinismo e volgarità, e senza farsi scrupoli, aggrediscono con la scrittura una ragazza sopravvissuta a 20 ore di torture? Di loro stessi, Facci e Feltri hanno detto molto anche senza volerlo. Mentre si dilettavano a scrivere articoli spazzatura, si mettevano a nudo senza pudore.

Con quelle parole ci hanno svelato il loro immaginario sulle donne e sulla sessualità, ci hanno fatto capire che non distinguono tra sesso e violenza, tra consenso e prevaricazione, tra desiderio e tortura. Hanno usato toni da goliardia machista, scherzando cinicamente su una violenza efferata e hanno dimostrato di non provare nessuna empatia per la vittima, con una desolante miseria intellettuale.

“Genovese andrà in galera. La ragazza però non va sull’altare, non lo merita” ancora insisteva ieri sera, Vittorio Feltri.

Negli Stati dove vige l’integralismo islamico, lapidano le vittime di stupro o le prendono a frustate. In Italia ci pensano gli occidentalissimi maschi nordici, nostrani, come Feltri e Facci, a lapidare mediaticamente le donne che svelano violenze. Non sono i soli ad avere queste convinzioni. Il bisogno di esercitare il dominio maschile e l’odio per le donne non hanno confini geografici. Lo stupro nemmeno.

Oggi è la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne e c’è ancora molta strada da fare per rendere più civile il Paese in cui viviamo.

@nadiesdaa

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