Coronavirus, crisi climatica, guerre e povertà spingono migliaia di migranti a lasciare i propri paesi per seguire la rotta atlantica, diretti verso le Canarie. Gli arrivi via mare nelle isole spagnole hanno subito un’accelerazione improvvisa. Da gennaio a ottobre 2020 le persone sbarcate erano 8mila, ma il totale è salito a 17mila a novembre. Numeri che nulla hanno a che fare con gli arrivi complessivi del 2019, in tutto 2.700. E ora, dopo le denunce delle amministrazioni locali e delle ong, anche il governo – a fronte dei dati – inizia ad attivarsi.

Secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) una persona su 24 muore durante la traversata per raggiungere destinazioni come Gran Canaria o Tenerife, mentre in quella che porta dalla Libia a Malta e Italia una ogni 52. I maggiori controlli sulle rotte del Mediterraneo e gli accordi con Paesi come Libia e Turchia hanno funzionato da deterrente per il flusso migratorio, che però adesso si dirige altrove. Lo testimoniano anche i numeri della Spagna: gli sbarchi nelle Baleari o nelle città autonome di Ceuta e Melilla sono diminuiti di oltre il 20%.

Ai migranti dal Mali, in fuga dalla guerra civile, si sono aggiunte persone provenienti dal Marocco, Senegal, Gambia o Mauritania. Il covid è sicuramente uno dei fattori che ha contribuito a peggiorare il fenomeno, ma non l’unico. In questo caso, il Marocco è un esempio emblematico: un reportage di El País ha evidenziato le storie di molti giovani che scelgono di imbarcarsi dopo aver attraversato il Sahara occidentale per sfuggire alla mancanza di prospettive future e alle conseguenze del cambiamento climatico, come le ripetute siccità. Per l’Oim, inoltre, “i gruppi di trafficanti si sono organizzati per riattivare la rotta” e si sospetta che anche “le restrizioni sui movimenti causate dalla pandemia abbiano avuto un impatto sui flussi dell’Africa occidentale e centrale”.

Il porto di Arguineguín, nella piccola località di Mogán, è diventato il simbolo delle condizioni in cui versano i migranti una volta arrivati. Oltre duemila persone dormono stipate nei pressi del molo e ong come Human Rights Watch hanno denunciato casi di coesistenza tra positivi e non positivi al covid. Il risentimento della popolazione nei confronti della gestione dell’emergenza ha costretto l’esecutivo di Pedro Sánchez a reagire con una serie di misure straordinarie: in uno sforzo congiunto di quattro ministeri, la Difesa ha messo a disposizione quattro strutture militari per l’accoglienza. Ma, come ha sottolineato alla rivista El Salto Txema Santana (Commissione Spagnola di Aiuti al Rifugiato), il rischio è quello che le Canarie diventino “una piattaforma di espulsione”.

Infatti il governo si è già attivato per andare in Marocco e Senegal con lo scopo di impedire le partenze e nel frattempo ha cominciato a rimpatriare alcuni migranti. Molti di loro, come i maliani, rischiano la vita per il conflitto interno. “C’è stata una grande incapacità e molta improvvisazione e anche molta superbia”, dice Luis Campos, portavoce al Parlamento del partito di centrosinistra Nuove Canarie, che aggiunge: “Le Canarie sono solo una tappa di passaggio per i migranti. Serve solidarietà con il resto del territorio spagnolo ed europeo”. Anche Sophie Müller dell’Unhcr ha attaccato la Spagna per aver reagito “con molto ritardo”.

La questione dell’eventuale redistribuzione dei migranti in altre zone delle isole o sulla penisola continentale è un altro dei nodi da sciogliere. El País sostiene che il governo non voglia pubblicizzare gli oltre 1.200 trasferimenti eseguiti dalla fine del 2019 perché potrebbero provocare “un effetto chiamata” e stimolare ulteriormente il flusso. “Sánchez non ha fatto assolutamente niente per impedire che tutto questo succedesse. Se il problema non raggiunge la penisola, non deve litigare con l’Europa per esigere una politica migratoria più ambiziosa”, afferma Australia Navarro, portavoce del Partito Popolare nelle Canarie.

Due settimane fa, Ylva Johansson, commissaria agli affari interni della Commissione Europea, si è recata in visita a Gran Canaria assieme al ministro dell’Interno spagnolo Grande-Marlaska. Oltre ad annunciare una collaborazione di Frontex con la guardia costiera locale, si è limitata a confermare la stessa linea del governo Sánchez in materia di rimpatri. Oggi però l’esecutivo ha annunciato che abiliterà entro la fine dell’anno 7000 posti per l’accoglienza dei migranti e che l’Unione parteciperà con un finanziamento di 43 milioni. Il ritardo di Madrid e dell’Europa sulla questione preoccupano per il ruolo che potrebbero avere nella crescita della xenofobia, come dimostrato da alcune manifestazioni contro l’accoglienza.

Tuttavia, Navarro e Campos, esponenti di partiti di segno opposto, non mettono in dubbio il carattere tipico che fa delle Canarie una terra solidale e accogliente, come sostiene il secondo: “Abbiamo attraversato l’Atlantico e siamo arrivati a Cuba e in altri momenti in Venezuela. Conosciamo le cause della migrazione che spingono a cercare non solo un futuro migliore ma un futuro e basta. Per questo, il nostro popolo è sempre stato solidale. Negli ultimi tempi, però, le Canarie non sono estranee all’auge di determinati populismi. La cattiva gestione e la dialettica dell’odio potrebbero incrementare i sentimenti di xenofobia”.

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