Nei prossimi giorni la Corte Costituzionale dovrà esprimersi su una questione rilevante che meglio chiarirà finalità, funzionamento e limiti della nostra giustizia penale. Non di rado è accaduto, nel recente passato, che la Consulta abbia segnato, nel nome della dignità umana, i confini invalicabili del potere di punire, che mai deve superare il recinto della ragionevolezza e del rispetto dei diritti fondamentali.
In particolare, i giudici costituzionali si esprimeranno sulla legittimità del provvedimento legislativo assunto in pieno lockdown che a causa dell’emergenza pandemica sospende, anche per fatti antecedenti all’entrata in vigore del decreto-legge in oggetto, i tempi di prescrizione.
La questione chiama in causa l’idea stessa che facciamo nostra di giustizia, di pena e più in generale di libertà. Il principio di irretroattività della norma penale più severa è parte del principio di legalità ed è coerente con l’idea secondo la quale non si devono cambiare le carte in tavola a gioco oramai iniziato. L’imputato, o anche il semplice indagato, costituisce nel procedimento penale la parte debole.
La prescrizione è una garanzia contro l’irragionevole durata dei procedimenti. Fa parte del giusto processo. Incidendo nella sostanza sulla punibilità della persona sotto processo, non è dequalificabile a mera norma di procedura, come giustamente hanno ribadito i giudici rimettenti. Vedremo cosa scriverà la Corte al riguardo. Se qualificherà la prescrizione alla stregua di istituto di diritto sostanziale, l’esito dell’incostituzionalità rispetto a fatti di reato commessi prima dell’entrata in vigore del decreto-legge sarà inevitabile.
Comunque vada il giudizio davanti alla Corte Costituzionale, resta in piedi una più significativa e generale considerazione, che suggerisce di non far pagare alle parti più deboli dei processi penali – ancora, teniamo bene a mente, presunti innocenti – gli effetti della sospensione dei procedimenti dovuta alla pandemia. La prescrizione è un istituto giuridico pensato per evitare che chiunque sia sotto processo a vita. È per tutti una garanzia che il processo si chiuda a un certo punto: è una garanzia individuale per l’imputato, è un’esigenza collettiva della giustizia che altrimenti potrebbe essere infinita e andare a rincorrere i tempi della ricostruzione storica.
Là dove sono coinvolte persone in custodia cautelare in carcere, si fa più forte l’esigenza che i tempi del processo non vengano dilatati. Incrementare la durata della custodia cautelare a causa dell’epidemia significa far pagare i costi dell’emergenza sanitaria alla persona detenuta. E per quanto tempo? E se la pandemia durasse malauguratamente ancora per molto?
La giustizia penale deve trovare altre strategie per risolvere il problema, contemperando le esigenze investigative e il bisogno di giustizia con le irrinunciabili garanzie individuali. Quelle garanzie individuali che, risalendo ai nostri classici, ci dovrebbero far ben affermare che ogni provvedimento in ambito penale deve sacrificare la minima porzione possibile di libertà.