L’aumento dei nuovi casi di coronavirus in Italia sta avendo come conseguenza una costante crescita dei ricoveri in ospedale. E chi lavora in corsia comincia a lanciare i primi avvertimenti, perché la situazione potrebbe peggiorare velocemente. I reparti Covid ordinari “cominciano a riempirsi, soprattutto al Sud, e questo è un segnale da non sottovalutare”, spiega Carlo Palermo, il segretario del maggiore dei sindacati dei medici ospedalieri italiani, l’Anaao-Assomed. Questi reparti, aggiunge, “si stanno riempendo perché qui giungono i sempre più numerosi pazienti positivi che non possono effettuare il periodo di isolamento al proprio domicilio. Si tratta di pazienti nella maggior parte dei casi stabili o con sintomatologia lieve e che quindi non necessiterebbero di un ricovero ospedaliero, Non possono però restare nelle proprie abitazioni, quando non si hanno condizioni adeguate”. Il punto, rileva, “è che mancano i necessari alberghi sanitari per questi pazienti e ciò sta portando ad un intasamento dei reparti”.

Se, infatti, con i numeri attuali “gli ospedali italiani potranno reggere almeno per 5 mesi ed al momento la situazione è gestibile”, lo scenario potrebbe cambiare: “Se dovessimo assistere ad un aumento esponenziale dei casi come sta accadendo in altri Paesi come la Francia allora il sistema ospedaliero avrebbe una tenuta di non oltre 2 mesi“, avverte ancora Palermo. Un allarme che nello stesso giorno è stato ribadito anche da Alessandro Vergallo, presidente nazionale dell’Associazione Aaroi-Emac (anestesisti e rianimatori): “Dobbiamo cercare di immaginare in prospettiva quella che sarà la fotografia di oggi che vedremo fra 3 settimane. I numeri delle persone in rianimazione ci dicono una cosa: nel giro di poco più di una settimana siamo passati da 200 a circa 450. Sono di fatto raddoppiati in questo arco di tempo. Il numero è relativamente basso, ma dimostra che non siamo di fronte ad una curva lineare, bensì a un’iniziale curva esponenziale, questo è il rischio”.

Se si passasse dai circa 5mila casi di contagio giornalieri agli oltre 10mila come in Francia, rileva Palermo parlando all’Ansa, “si rischia il crollo della prima trincea ospedaliera anti-Covid, perché gli ospedali non sono pronti a far fronte ad un’epidemia esponenziale”. “Già ora – avverte – si iniziano a registrare delle criticità, a partire dal personale sanitario carente e dalle strutture che non sempre garantiscono percorsi differenziati”. Proprio della carenza di personale ha parlato Vergalo alla trasmissione ‘L’imprenditore e gli altri‘ su Cusano Italia Tv: “Oggi in Italia abbiamo circa 18mila anestesisti e rianimatori, sono 10 anni che denunciamo la carenza di almeno 4mila unità. A queste carenze finora abbiamo fatto fronte con straordinari anche non pagati, con turni di lavoro massacranti“.

Il problema della “mancanza di personale sanitario ospedaliero – conferma Palermo – non è un problema nuovo. Abbiamo ereditato dal passato già una carenza di 6mila medici determinata dal blocco del turnover. Ma ora, con la pandemia, la situazione è peggiorata perché l’aumento dei posti letto in terapia intensiva e sub-intensiva rende ovviamente necessario anche un aumento del personale sanitario e medico addetto. Sarebbe necessaria – sottolinea – l’assunzione di almeno altri 4mila medici“. Ad oggi, sostiene Palermo, “registriamo una carenza complessiva di circa 10mila medici: negli ultimi mesi sono state infatti effettuate circa 5mila assunzioni, ma si tratta di contratti a tempo determinato, precari o libero professionali. Il problema, dunque, non si è risolto alla radice e la situazione di sofferenza negli ospedali resta”.

Ma non è solo il personale il punto dolente. Anche le strutture ospedaliere non sempre sono adeguate a fare fronte alla pandemia: “Molti ospedali sono vecchi, magari costruito oltre 50 anni fa. Questo rende ad oggi impossibile in varie strutture nosocomiali poter predisporre i fondamentali percorsi differenziati Covid e no-Covid”. Insomma, “ci sono delle criticità da affrontare subito, per essere preparati nel caso in cui i numeri del contagio dovessero aumentare significativamente: con un aumento esponenziale, gli ospedali andrebbero in tilt, mentre se l’aumento dei casi rimane costante con le cifre attuali abbiamo ancora un periodo piuttosto lungo di tenuta”.

Il rischio, sottolinea Vergallo (presidente Aaroi-Emac), “è alto soprattutto nelle regioni che non hanno affrontato l’onda pandemica iniziale. Questa è una vera e propria seconda ondata, per questo lanciamo il messaggio di tenere alta l’attenzione“. E’ un’ondata che “ha un culmine più basso come numeri solo perché si sono poste in atto nel frattempo tutte le misure di contenimento sociale. E’ chiaro che con la ripresa c’era da attendersi un rialzo, ma questo non significa abbassare la guardia“, incalza l’esperto. Qual è oggi la situazione in Italia sui posti di terapia intensiva? “Ne avevamo poco più di 5mila in fase pre-pandemica, quelli che sono stati attivati sono stati effettivamente utilizzati nelle regioni più colpite. Ci risulta siano stati implementati anche nel Centro-Sud, ma al Sud in particolare non abbiamo contezza che ci sia stata un’effettiva implementazione proporzionalmente corrispondente alla densità di popolazione. L’obiettivo del governo era arrivare a 8.700 posti ai quali dovrebbero essere aggiunti circa 4mila di sub-intensiva che all’occorrenza possono essere trasformati, però stiamo parlando di un piano sulla carta che comporterà tempi molto lunghi”, spiega su Cusano Italia Tv.

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