Cominciano a delinearsi i contorni del procedimento disciplinare contro Luca Palamara a Palazzo dei Marescialli. Dopo lo stop avvenuto prima dell’estate, i membri della Sezione disciplinare del Csm hanno iniziato a valutare l’elenco dei 133 testimoni che l’ex presidente dell’Anm, indagato a Perugia per corruzione, ha presentato in sua difesa. Stando a quanto si apprende, per ora ne sono stati ammessi soltanto sei, tutti appartenenti alla polizia giudiziaria che si è occupata del suo caso nel tribunale umbro. C’è il generale della Gdf Gerardo Mastrodomenico, e poi Fabio Del Prete, Fabio Di Bella, Roberto Dacunto, Gianluca Burattini e Duilio Bianchi. I primi verranno sentiti nella prossima udienza già convocata per il 23 settembre.

È una prima sconfitta per Palamara, che sperava di far parlare a suo favore ex ministri, ex presidenti della Consulta e pure due consiglieri del Quirinale. Ma non è l’unica. Il Csm ha deciso che deve essere trascritta l’intercettazione della famosa riunione all’hotel Champagne di Roma, avvenuta nel maggio 2019, in cui l’ex pm, 5 consiglieri di Palazzo dei Marescialli e i parlamentari Luca Lotti e Cosimo Ferri discutevano della nomina del procuratore capo della Capitale. Si tratta di un passaggio delicato, perché quella conversazione, insieme a tante altre, poi ha portato alle dimissioni dei togati presenti dal Csm e ha scatenato un terremoto nel mondo della giustizia italiano. I membri della Sezione disciplinare hanno già dato incarico ai periti, ma non si sono ancora espressi sull’effettiva utilizzabilità dei dialoghi. Secondo il difensore di Palamara Stefano Guizzi, infatti, sono inutilizzabili sia per una serie di vizi nel decreto della procura di Perugia che ha autorizzato l’uso del trojan nel cellulare dell’ex presidente dell’Anm, sia perché è stato intercettato anche Ferri, in violazione dell’articolo 68 della Costituzione, che richiede per i parlamentari un’autorizzazione preventiva della Camera di appartenenza.

Intanto nel corso della giornata si è svolto a Palermo un convegno sulla giustizia organizzato dalla Camera penale, a cui ha partecipato tra gli altri il consigliere del Csm Antonino Di Matteo. “I fatti che emergono dalle recenti inchieste penali e disciplinari evidenziano come quei soggetti, di cui vengono conosciute le interlocuzioni con le intercettazioni, stavano dalla parte di chi voleva, insieme a parti importanti delle istituzioni, sbarrare la strada a chi veniva considerato ‘cane sciolto’, quei magistrati considerati non controllabili“, ha dichiarato, riferendosi al caso Palamara. La pensa così anche Piergiorgio Morosini, gup del processo trattativa Stato-Mafia, secondo cui dopo la pubblicazione di quelle carte “nulla sarà più come prima. Dalle chat dell’inchiesta Palamara si notano in modo nitido anche i trattamenti che venivano riservati a chi era dissenziente rispetto a certe manovre e le conseguenze per coloro che dissentivano sono chiare in queste pubblicazioni, cioè l’isolamento o l’ostacolare ogni aspirazione professionale“.

Morosini, che è stato anche consigliere del Csm, sostiene che “tutte le intercettazioni” del caso Palamara dovrebbero essere pubblicate, “perché non c’è dubbio che il notevole interesse per la collettività di questa inchiesta è sotto gli occhi di tutti. E la trasparenza è il miglior disinfettante“. Va detto però, aggiunge, che “le forme in cui viene proposta questa inchiesta dall’informazione è importante. Perché nel modo di raccontare questa storia, tramite le intercettazioni, c’è il rischio di travolgere il contributo di serietà e di lealtà di migliaia di pm e di giudici che sono lontani anni luce da certi traffico, certi salotti e dalla grammatica di certi messaggi”. Il rischio, conclude, è che “l’opinione pubblica pensi che sia tutto marcio. Ci sarebbe una pericolosa espansione di una giustizia ‘alternativa”.

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