Cinema

Mostra del Cinema di Venezia 2020, può un film stalinista e putiniano vincere un Leone d’Oro?

Per noi a risposta è sì. Perché Cari Compagni del regista Andrei Konchalovskj è un film semplicemente perfetto

di Davide Turrini

Può un film stalinista, e putiniano, vincere un Leone d’Oro al Festival di Venezia nel 2020? La risposta è sì. Perché Cari Compagni di Andrei Konchalovskj, in Concorso a Venezia 77, è un film semplicemente perfetto. Insomma, bisogna come dire spingere da parte gli sperticati elogi di Konchalovskj al leader maximo russo attuale, come la targhetta ufficiale del ministero della cultura russa che supporta il film (un timido fischio in sala durante l’apparizione dell’effige alla prima proiezione per la stampa è stato subito zittito ndr) per vedere senza pregiudizi due ore spaccate di fulgida tragedia classica con una composizione millimetrica di ogni inquadratura e un ritmo costante e sostenuto dal primo all’ultimo fotogramma.

1 giugno 1962 a Novocherkassk, una cittadina nel sud della Russia vicino a Rostov e al Mar Nero. Il passaparola tra la gente vuole che a breve i prezzi dei beni alimentari e di prima necessità aumenteranno. La rabbia è alle stelle. C’è la fila per il latte, il pane e perfino i fiammiferi. La single Lyudmila (Julia Vysotskaya, quinta ed attuale moglie del regista), solerte funzionaria del Comitato Locale del Partito, commenta gli avvenimenti politici dal letto del collega sposato con cui ha una relazione. Tutti rimangono nell’alveo dell’adesione al Partito, quindi alla linea del segretario del partito e primo ministro Khruschev in pieno periodo di destalinizzazione, ma l’insofferenza generale è palpabile. La figlia diciottenne di Lyudmilia è in rotta con la madre un po’ su tutto, mentre l’anziano padre, uno che ha fatto la guerra e la rivoluzione 40 anni prima attende invano sigarette e vodka razionati sul balcone di casa.

La rivolta e lo sciopero degli operai di una grande fabbrica, che da lontano fanno echeggiare il suono continuo della sirena irrompe nel tran tran ingessato del centro abitato e dei funzionari di partito. Agli operai che protestano si aggregano in strada migliaia e migliaia di cittadini, tra cui anche la figlia di Lyudmila, in marcia verso Novocherkassk. Il 2 giugno la situazione precipita. Gli insorti assaltano la sede la partito cittadina, ma il ritardato ma risoluto arrivo dell’esercito mette subito a tacere la ribellione. È soprattutto il Kgb a sparare tra la folla in fuga uccidendo decine di manifestanti e poi a pulire letteralmente il selciato dal sangue (dove non si riesce fanno riassaltare), e a costringere le centinaia di testimoni (anche gli infermieri dell’ospedale) a firmare una dichiarazione dove si impegnano a non rivelare mai nulla dell’accaduto pena la morte. Come non bastasse, in mezzo al caos, ai morti che vengono portati via e sepolti in luoghi nascosti, Lyudmila non trova più la figlia. E nella generale sospensione dei poteri, con tutto in mano ai servizi segreti e ai militari, la donna ha le mani legate.

A cercare la figlia, probabilmente cadavere, sarà aiutata da un cinico dirigente del Kgb, probabilmente innamorato di lei. Davanti al bianco e nero e alla vicinanza dell’immagine del rapporto d’aspetto 4:3, Cari compagni è subito un film storico, sicuramente di denuncia (il fatto rimase nascosto fino al 1992, e a tutt’oggi non se ne conoscono i responsabili), che profuma di epica e che spinge ad una automatica adesione al racconto. Con un sottotesto che poi spesso si fa testo tout court: i manifestanti inneggiano continuamente (il padre della protagonista tira pure fuori dalla cassapanca divisa dell’epoca e icona religiosa ortodossa) al “si stava meglio quando si stava meglio”. Ovvero all’epoca di Stalin che Krushschev stava gradualmente cancellandone il mito dalla storia patria (comunista).

Culto della personalità addio sì, ma anche carabine puntate sulla folla ed eliminazione di ogni possibile dissenso pubblico. Cari compagni è quindi, politicamente a suo modo, un grido di dolore di una generazione tradita di russi. E chi in questi ultimi anni ha cominciato a rivalutare la figura di Stalin, quasi piazzandosela vicina sul comodino a dimostrare che il culto del capo in mezzo al mondo occidentale corrotto non era poi così male? Vladimir Putin. Chiuso questo cerchio ideologico e propagandistico non così sottotraccia (c’è perfino la battuta “anche con gli zar si mangiava tutti giorni carne”), l’85enne Konchalovskj mescola tutta la sua classe da cineasta formalmente classico, da co-sceneggiatore di Tarkovsky (Andei Rubilev, L’infanzia di Ivan) e da istrione hollywoodiano anni ottanta (Tango&Cash, A 30 secondi dalla fine) infilando la sua macchina da presa di fronte alle facce della rivolta e addosso ai corpi della delusione e della paura. E se le sequenze di ribellione e repressione fanno accapponare la pelle, quelle del successivo tentativo di recupero della figlia ha più le stigmate di uno spy movie romantico, Cari compagni è un film narrativamente compatto e potente, registicamente illuminato e sofisticato. Da quell’impiccio storico generale e intimo personale non ne esci facilmente. “Nella vita ogni lieto fine è un miracolo”, afferma il regista in conferenza stampa. Leone d’Oro in vista. Con merito.

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