All’ospedale Castelli di Verbania il tampone costa 51 euro, nel Padovano il Gruppo Datamedica lo propone a 60, il Centro Medico Sant’Agostino di Milano a 80. In Toscana c’è una “tariffa concordata” da 80 euro, in Liguria è di 100. Dove la sanità pubblica entra in affanno, il costo si alza, come è accaduto a Bologna, dove la richiesta è arrivata a 130 euro. Succede anche nella forniture pubbliche, con effetti moltiplicatori sulla spesa sanitaria: lo stesso kit di reagenti viene acquistato da una regione a 15 euro, da un’altra a 21. Come e peggio delle vecchie siringhe: sono prezzi giustificati o c’è in atto un vergognoso ricarico come avvenuto sulle mascherine? Questo ginepraio di tariffe, e costi maggiorati fino al 150%, è sotto gli occhi di tutti e per lungo tempo è stato tollerato nel segno dell’emergenza. Ora però rischia di pesare come un macigno sulla strada del governo che è intenzionato a incrementare esponenzialmente i test sulla popolazione: andando incontro a quali costi e quali rischi?

Sul mercato privato il prezzo di un tampone va dai 60 a 150 euro a seconda del proponente. Il costo per il pubblico, che non deve fare profitto coi test ma somministrarli gratuitamente ai pazienti presi in carico, si aggira sui 30 euro. In un giorno se ne fanno 60-80mila, mercoledì il record di 102mila. Il parere prevalente degli esperti è che ne servano quattro volte tanti. Il solo distanziamento sociale infatti non basta a evitare un possibile secondo, devastante lockdown. E con la riapertura delle scuole e l’arrivo della stagione influenzale bisogna mettere in campo uno screening di massa della popolazione che consenta di intercettare gli asintomatici e isolarli per interrompere la trasmissione. Nel frattempo però il perno di questa operazione, vale a dire l’unico test diagnostico ritenuto scientificamente affidabile (quello molecolare), è oggetto di politiche commerciali speculative. Esattamente come è accaduto con i Dpi.

Il prezzo dei tamponi è giusto? Perfino l’Anac ha avuto difficoltà a stabilirlo. Ad agosto ha pubblicato il suo ultimo rapporto sulla spesa sanitaria durante l’emergenza (periodo 1 marzo – 30 aprile) monitorando costi e criticità di 163 stazioni appaltanti. A proposito di “tamponi e reagenti”, l’Anticorruzione mette nero su bianco: “Il range di prezzi osservato va da un minimo di qualche euro ad un massimo di decine di migliaia di euro evidenziando la presenza di tipologie di prodotto estremamente differenti e per i quali risulta estremamente complesso – senza l’ausilio di un esperto del settore – identificarne sottocategorie omogenee”. Dopo mascherine e ventilatori, la categoria “tamponi-reagenti” presenta le oscillazioni di prezzo più “critiche”. Dagli uffici dell’Anac fanno notare che la comparazione è stata spesso impossibile anche per prodotti molti più semplici, come i disinfettanti. E che certi scostamenti di prezzo sono giustificabili solo in parte con aumenti repentini della domanda/scarsità dell’offerta. Il più delle volte, sono effetto di affidamenti diretti a trattativa privata con le imprese, in deroga al codice dei contratti pubblici, senza una reale concorrenza e poche chances di negoziare. Il tutto in un clima d’emergenza protratto, in cui i tempi di approvvigionamento richiesti dalle aziende sanitarie hanno favorito la corsa al rialzo. E infatti, riordinando i risultati dell’indagine su 330 commesse pubbliche per tipologia di prodotto emergono risultati sconcertanti: presi i 21 affidamenti che hanno per oggetto “kit completo” (tampone+reagente) spuntano prezzi unitari differenziati con delta importanti, e perfino maggiorati a fronte di quantità superiori. Contro ogni logica commerciale. Esempio: l’Asl di Bari ha acquistato 12mila confezioni per test diagnostici al prezzo di 35,2 euro l’una, quella di Savona ne ha acquistate 9mila al costo di 9 euro per ogni kit.

Sciacalli del Covid anche sui tamponi? Una risposta si fa impellente da che sul tavolo del governo si è materializzato il “piano nazionale” ideato dal virogolo Andrea Crisanti che punta ad effettuare 400mila esami al giorno a costi “sostenibili” per le casse pubbliche. Un piano che fa leva sulla stessa “filiera” costruita dal virologo in Veneto usando un macchinario che processa fino a 9mila tamponi al giorno e impiegando reagenti prodotti in laboratorio al costo di 2,5 euro contro i 10-15 dei sistemi “chiusi”, cioè legati a dispositivi e reagenti forniti dalle aziende. “La logica è diversa – spiega Crisanti a ilfattoquotidiano.it -. In Veneto abbiamo fatto 600mila tamponi e non abbiamo mai avuto problemi di approvvigionamento dei reagenti perché li facevamo noi, progettando le sonde molecolari per la Pcr e processando a mano. È chiaro che se uno prende il pacchetto di reagenti in commercio, li mette in una macchina e spinge un bottone finisce per pagare anche 30-35 euro, a seconda del prodotto. Ma se dobbiamo fare 400mila tamponi al giorno il prezzo non potrà essere quello oggi praticato sul mercato delle forniture pubbliche o private che siano, dove le tariffe arrivano a 100-150 euro”. Prezzi che Crisanti bolla apertamente come “estorsivi”. “Fino a 40-60 euro sono prezzi giustificabili e onesti, considerando i costi di approvvigionamento, l’ammortamento di macchine e personale. Ma tutto il “di più” è profitto che in qualche caso sfiora l’estorsione. In tutti i casi, sono prezzi incompatibili con un’operazione di screening di massa come quella di cui abbiamo bisogno per arrivare al prossimo anno e oltre, finché non ci sarà il vaccino”.

In verità ci sono perfino Asl, vale a dire presidii sanitari pubblici, che propongono ai privati tamponi a 150 euro. A raccontarlo è il presidente di Federlab, l’associazione di 2mila laboratori privati accreditati che guida la battaglia per il coinvolgimento degli associati nel tamponare gli italiani. “De Luca – dice Gennaro Lamberti – dice di volerne fare 10mila al giorno, ma dove li fa fare? I 400mila test al giorno in Italia oggi sono un miraggio, soprattutto se si persevera nella scelta di tener fuori i centri accreditati”. Sarà, ma che dice dei prezzi che praticano i laboratori privati? “Li vedo, alcuni sono vergognosi. Ho 40 anni di esperienza in questo settore e le posso garantire che sono doppi e perfino tripli rispetto alla reale struttura dei costi”. Eccoli. Il tampone? Costa tra 3-4 euro, il kit per l’estrazione tra i 7 e gli 8. Normalmente tra i 22 euro costa il kit di amplificazione e l’apparecchiatura – se non la prendi in comodato – costa 80mila euro più manutenzione. “Un prezzo onesto? E’ attorno ai 60 euro”.

Ma non è così, ed è il segreto di Pulcinella. La controprova, dice il rappresentante dei laboratori italiani, è sotto gli occhi di tutti. “Da cinque anni il Tariffario nazionale per esami genetici virali come il tampone è fissato in 69 euro. Quello è il prezzo di riferimento. Tutto quel che si discosta da quella cifra in su è diciamo così… “politica di mercato”. E mi creda, non è prerogativa esclusiva del privato”. A Vibo Valentia, racconta Lamberti, la stessa Asl pratica ai privati un prezzo di 150 euro. “Mi dirà che tiro acqua al mio mulino, ma è chiaro che se un laboratorio accreditato avesse la certezza di un numero significativo di commesse potrebbe negoziare forniture a prezzi unitari inferiori. Fare economia di scala. Un malinteso senso di preminenza del pubblico ha finito per escludere in molte regioni i laboratori privati, riducendo la capacità e la velocità di screening della popolazione e favorendo semmai la speculazione su tutta la filiera. È un danno enorme al Paese, sia in termini di salute pubblica che di spesa sanitaria”. Sì, e i reagenti di Crisanti a 2,5 euro contro quelli comprati dalle Regioni a cinque-dieci volte di più? “Se li prendi già fatti paghi costi di ricerca, di produzione e commercializzazione, ma anche quelli di certificazione europea, la garanzia di qualità etc. Se li fai da solo, non per uso laboratorio ma in quantità industriali, non hai più questi costi ma neppure le certezze. È un po’ come la torta fatta in casa, costa meno ma non hai garanzie che sia buona. Se poi devi farne 400mila al giorno… Vista la delicatezza dei test, per il cittadino e per la salute pubblica, è un rischio che non va sottovalutato”.

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