Per Legambiente, Greenpeace e Wwf, quelle 42 pale eoliche a 35 chilometri dalla costa non danneggerebbero affatto il territorio. E sarebbero preziose nel percorso di abbandono delle fonti di energia fossile. Ma la Regione Sardegna e sette Comuni della costa sud occidentale si sono uniti nella battaglia contro il progetto di un innovativo parco eolico galleggiante off shore nel Sulcis, nel tratto di mare tra Portoscuso e Carloforte. Con l’appoggio di Italia Nostra e del Gruppo di intervento giuridico (Grig). Con “argomenti ideologici più che valutazioni puntuali ed oggettive”, secondo il Wwf. Insomma: rinnovabili sì, ma a casa degli altri. Risultato: il progetto è in bilico. In un contesto che vede l’Italia molto indietro nello sfruttamento dell’energia del vento rispetto a quanto previsto dal Piano energia e clima. E a poche settimane dalla presentazione del piano per l’uso delle risorse del Next generation Eu, il 30% delle quali deve essere destinato al raggiungimento dei nuovi obiettivi climatici dell’Unione.

IL PROGETTO INNOVATIVO – Il progetto, presentato a giugno 2020 da Ichnusa Wind Power, prevede un impianto di produzione di energia elettrica composto da 42 turbine eoliche, ciascuna con potenza nominale di 12 MW per una potenza totale di 504 MW al largo di Cala Domestica. E’ sul tavolo del Ministero dell’Ambiente per la verifica preliminare, fase che precede la predisposizione dello studio finalizzato alla procedura di Valutazione di impatto ambientale. “Grazie alla struttura galleggiante di sostegno delle turbine – si legge nella relazione – è stato possibile posizionare il parco eolico in acque distanti oltre 35 chilometri dalla costa della Sardegna, in modo da renderlo sostanzialmente impercettibile ad occhio nudo dalla terraferma”. Nel documento si specifica che le turbine galleggianti “costituiscono un innovativo sviluppo tecnologico del settore eolico che permette di realizzare parchi eolici offshore su fondali profondi, avvalendosi di sistemi di ancoraggio ampiamente sperimentati poiché derivati dal settore Oil & Gas, che da tempo ha sviluppato tecnologie legate alle piattaforme galleggianti”.

LEGAMBIENTE E GREENPEACE FAVOREVOLI – Per Legambiente, si tratta di un “progetto molto innovativo che supera i problemi di visibilità dell’eolico, collocando le torri lontano dalla costa in fondali profondi”. Tanto che l’associazione ha chiesto ai ministeri competenti di promuovere una conferenza di presentazione, scorgendo “positive novità per attuare una svolta nella strategia energetica regionale”, in direzione della progressiva decarbonizzazione della Sardegna. “La visibilità dell’impianto, dalla costa, è trascurabile, e l’impatto paesaggistico non presenta alcuna criticità dalla costa sarda, per cui la valutazione è positiva”, per Legambiente, che sollecita la società milanese a “predisporre un progetto di sviluppo della biodiversità, anche con la realizzazione di una vera e propria oasi di ripopolamento della fauna ittica, nell’area sottesa all’impianto”. Anche Greenpeace esprime un giudizio positivo. “Opporsi all’eolico in Sardegna e promuovere la metanizzazione significa legare il territorio sardo, e chi lo vive, a tecnologie inquinanti e che diventeranno sempre più marginali nel mercato”, spiega il responsabile Energia e Clima Luca Iacoboni, secondo cui occorre “puntare su rinnovabili, efficienza, reti intelligenti e innovazione tecnologica per salvaguardare la Sardegna, i suoi abitanti e la sua economia”. Ovviamente anche gli impianti rinnovabili vanno analizzati e valutati caso per caso, “tenendo sempre presente però che i cambiamenti climatici ci impongono di abbandonare al più presto gas, petrolio e carbone. Una rivoluzione energetica di questo tipo è tecnicamente possibile e porterebbe benefici economici e occupazionali“. Ancora più netto il Wwf, che parla di “perverso meccanismo per cui le uniche buone energie rinnovabili son quelle fatte a casa degli altri, fuori dal proprio territorio” e di un confronto “caratterizzato più da argomenti ideologici che non da valutazioni puntuali ed oggettive”. Anche perché “le obiezioni paesaggistiche sono state avanzate dalla Regione Sardegna, cioè dallo stesso soggetto che ha stravolto la Legge paesaggistica regionale sino al punto da farselo impugnare dallo Stato”. Quanto alla posizione di Italia nostra, “non si può pensare che il superamento degli impianti ad energia fossile avvenga senza prevedere impianti su scala industriale per far fronte alle esigenze sia della popolazione, sia del sistema produttivo”.

L’OPPOSIZIONE DI REGIONE, COMUNI ED ECOLOGISTI – Eppure hanno già dichiarato guerra al progetto i sindaci di Arbus, Buggerru, Carloforte, Fluminimaggiore, Gonnesa, Iglesias e Portoscuso, che hanno organizzato un presidio davanti all’assessorato regionale dell’Ambiente, a Cagliari. Dal canto suo, però, l’assessore regionale Gianni Lampis ha fugato ogni dubbio sulla posizione della Regione. “Sono soddisfatto che la nostra contrarietà sia condivisa anche dalle amministrazioni locali”, ha detto, preannunciando che sarebbe stato negativo il parere richiesto all’Ente dal ministero. Alla base ci sarebbero motivazioni tecnico-giuridiche, tra le quali una normativa regionale. Per il vicesindaco di Portoscuro, Ignazio Atzori, il parco non avrebbe ricadute economiche positive sul territorio, ma porterebbe “un grosso danno” alla pesca e al turismo, sminuendo “il valore del paesaggio”. Salvatore Puggioni, sindaco di Carloforte, ha invece sottolineato che i comuni dei territori interessati hanno saputo del progetto solo dai giornali. Mentre il Gruppo d’intervento giuridico ha manifestato perplessità sull’utilità del progetto per la Sardegna perché “oltre il 46% dell’energia prodotta non serve all’Isola, ma viene esportato, quando possibile, vista la limitata capacità dei due sistemi di trasporto dell’energia”. Per la onlus, sarebbe utile solo se andasse a sostituire le fonti fossili più inquinanti. Italia Nostra dal canto suo ha persino presentato un documento al ministero dell’Ambiente, ritenendo che l’impianto offshore “condizionerebbe in termini fortemente penalizzanti lo studio richiesto dal ministero dell’Ambiente all’Ispra per l’individuazione di un’Area Marina Protetta nell’Arcipelago del Sulcis e nella costa adiacente, attualmente in corso di istituzione”. Il campo eolico, si legge nelle osservazioni, “limiterebbe fortemente la perimetrazione dell’Area Protetta e comprometterebbe la possibilità di condurre a buon fine un’iniziativa con ritorni economici certi per l’intera collettività e utile per garantire la tutela del mare”.

UN ALTRO PARCO EOLICO NELL’ADRIATICO – Intanto davanti alle coste di Ravenna, cioè nel cuore del distretto delle trivelle offshore, è stata annunciata l’installazione di un altro parco eolico offshore. Allo sviluppo parteciperà anche Saipem, che ha firmato un Memorandum con Agnes, società per lo sviluppo delle energie rinnovabili nel mare Adriatico che si occupa anche di sistemi di stoccaggio dell’energia e produzione di idrogeno da fonti rinnovabili, e Qint’x, specializzata nel settore delle rinnovabili. Il progetto prevede l’installazione di circa 56 turbine su fondazioni fisse sul fondo del mare in due siti differenti, il primo oltre le 8 miglia nautiche, il secondo oltre le 12 miglia. Nell’ambito dello stesso progetto si prevede di utilizzare tecnologie innovative come il solare fotovoltaico galleggiante attraverso la tecnologia proprietaria di Moss Maritime, parte della divisione Xsight di Saipem, dedicata allo sviluppo di soluzione innovative per velocizzare il processo di decarbonizzazione del settore dell’energia.

L’EOLICO IN ITALIA: “NUMERI INADEGUATI” – A guardare i numeri, finora sull’eolico ci si è mossi troppo lentamente. Il Piano d’Azione Nazionale individuava nel 2010 un obiettivo di installazioni al 2020 pari a circa 12.680 MW di cui 12mila on-shore e 680 off-shore. Secondo i dati raccolti da Legambiente, siamo a 2mila MW in meno sulla terra ferma e il target per l’off shore è totalmente mancato. La media di installazioni di impianti eolici all’anno, dal 2015 a oggi, è di appena 390 MW. Nel 2019 le installazioni sono leggermente cresciute con 400 nuovi MW (meno 118 MW rispetto al 2018), arrivando a 10,7 GW di potenza complessiva, “numeri assolutamente inadeguati – fa notare Legambiente – per raggiungere gli obiettivi fissati al 2030 dal Piano Energia e Clima, e che presto dovranno essere rivisti con l’innalzamento dei target previsti a livello europeo”. L’Italia, infatti, dovrà impegnarsi a installare almeno 1 GW di potenza eolica l’anno con impianti a terra e in mare, e in parallelo realizzare investimenti diffusi per ridurre drasticamente consumi energetici e emissioni di CO2 in tutti i settori produttivi.

Uno studio di Anev stima il potenziale dell’eolico off shore italiano in almeno 950 MW (almeno 650 MW tra le coste dell’Abruzzo e della Puglia e altri 300 MW tra Sardegna e Sicilia) “senza considerare l’eolico galleggiante che consentirebbe di portare il potenziale a ben altri numeri”. A riguardo, è interessante guardare anche cosa accade altrove: la Cina è il Paese con i maggiori investimenti nel settore, con 25,8 GW realizzati e una potenza complessiva di oltre 210 GW, mentre in Europa i paesi con più installazioni sono stati nel 2019 Germania e Francia, rispettivamente con 1.979 MW e 1.360 MW, ben lontani dai 400 MW dell’Italia. Interessante anche alla luce delle regole del prossimo bilancio pluriennale europeo e del Recovery fund, in base alle quali un terzo dei finanziamenti deve andare alla transizione verde. E gli investimenti devono “contribuire al raggiungimento dei nuovi obiettivi climatici dell’Unione per il 2030 che saranno aggiornati entro la fine dell’anno”.

Articolo Precedente

Mamma e cucciolo di megattera nel golfo di Genova, l’esperto: “Straordinario, vivono negli Oceani e di rado passano nel Mediterraneo”

next