Costretto a non inserire nella propria lista i suoi assessori, Luca Zaia gioca la partita contro Matteo Salvini facendo appello – oltre che al proprio indiscusso carisma, esaltato dall’emergenza Covid – ai fedelissimi. Ecco rispuntare gli Zaia-boys, amici di gioventù politica, attempati e ancor più affidabili. Ecco una scelta oculata nel territorio, dove conosce tutti e comanda indiscusso da dieci anni. Ecco i manager collocati nelle multiutilities, che sono le casseforti dei Comuni, filigrana di un potere ormai stratificato da trent’anni di amministrazione dei campanili. Ma nella battaglia non si può nemmeno fare gli schizzinosi, ed ecco allora anche chi nel passato ha aggredito un compagno di partito, chi non ha pagato la tessera, chi ha messo sullo stesso piano Hitler, Mussolini e Maometto. E ancora chi cambia casacca o scambia turisti per immigrati. Ciò che conta è il risultato e riuscire con la propria lista, Zaia Presidente, è pronta a dare una spallata a quella del segretario.

Cominciamo con lo strano caso di Fabiano Barbisan, di Fossalta di Portogruaro. Eletto nel 2015, stravede per il presidente. Eppure in consiglio regionale è stato all’opposizione, con capogruppo del Misto un esponente di Liberi e Uguali. Perché? “E’ una scelta fatta e condivisa tre anni fa”, ha spiegato. Zaia glielo aveva chiesto per farlo diventare vicepresidente della commissione Sanità (posto destinato all’opposizione), che vigila sulla potentissima Azienda Zero che gestisce una sanità da 10 miliardi. Barbisan è stato ricompensato.

Anche nella lista del presidente ci sono gli anti-profughi. Ad esempio l’ex sindaco di Jesolo, Francesco Calzavara, che da consigliere regionale, nel 2015, informò il mondo: “Pare che a Cavallino siano arrivati una ventina di profughi della Costa d’Avorio e si stiano godendo la piscina di un residence”. Peccato fossero dei cuochi africani in trasferta per un evento, che avevano affittato quattro appartamenti. Due anni prima il presidente del Consiglio comunale di Scorzè, Gabriele Michieletto, aveva usato Facebook per dileggiare la ministra Kyenge. Lo aveva bacchettato il consigliere Bruno Pigozzo del Pd: “Ha postato la foto di un orango commentata da una didascalia in cui il primate si paragona al ministro per l’integrazione Cecile Kyenge, aggiungendo ‘ma io sono più bella e simpatica’”. Si è ripetuto un anno fa, prendendosela con Giuseppe Garibaldi: “Eliminerei i riferimenti toponomastici al criminale Giuseppe Garibaldi, noto mercenario, bandito, razziatore assurdamente reso eroe da qualche buontempone”. Solo perché ha unito l’Italia.

Nella lista di Padova, Zaia ha inserito due nomi che ai puristi della politica possono instillare dei dubbio. Giulio Centenaro fu sospeso nel 2017 per aver aggredito durante una sagra Daniele Canella, oggi sindaco di San Giorgio delle Pertiche. Una battaglia tra galletti, con Centenaro che aveva accusato l’altro di essere entrato nel suo territorio elettorale per denigrarlo, e Canella che diceva di essere stato aggredito. Finì con tre mesi di sospensione per entrambi. Sullo sfondo lo scontro dei due big padovani, Massimo Bitonci e l’assessore regionale Roberto Marcato. Canella, giovanissimo, non potè candidarsi alle politiche, Centenaro adesso è lanciato in pista.

Il secondo nome è quello di Alain Luciani, nel 2014 capogruppo della Lega in consiglio comunale a Padova, poi assessore alla Sicurezza nella giunta Bitonci. Rieletto nel 2017, fu oggetto di un esposto al Garante della privacy per aver utilizzato in campagna elettorale indirizzari dell’amministrazione comunale. Nel 2015 su Facebook aveva scritto: “Maometto come Hitler e Mussolini. Ora vietiamo l’Islam”. Poi si era scusato, spiegando che si riferiva all’Islam “violento”. Nel 2018 ha presentato una mozione per la messa al bando dell’ideologia comunista e degli oggetti “raffiguranti immagini, persone o simboli ad essa riferiti”. In una parola, le magliette di Che Guevara. Quando Bitonci crollò, girò una registrazione di Luciani (ripresa dai giornali) che diceva: “Bitonci è un grande amministratore, ma come politico, zero”. Due anni fa è scivolato su 50mila volantini antidroga (da distribuire in città), curati dalla “Fondazione per un mondo libero dalla droga” legata a Scientology. Un bel posto in lista non gli è però stato negato.

Ed eccoci agli Zaia Boys, i fedelissimi delle origini, tutti candidati a Treviso. Stefano Busolin è stato per quattro mandati presidente di Ascotrade, multiutility dell’energia cruciale per il potere leghista. Un predestinato. Poi c’è Paolo Speranzon, ex sindaco di Motta di Livenza. Il terzo è Marzio Favero, sindaco di Montebelluna (ma piazzato nella lista Salvini). È un leghista della prima ora, con qualche idea originale visto che il 25 Aprile canta Bella Ciao, perché “questa è una festa di tutti”. Zaia ha un popolo di riferimento vasto nel Trevigiano, sua dependance politica. Roberto Bet, candidato alle comunali di Codognè nel 2009, esordì dicendo che nel Comune non ci sarebbero state unioni omosessuali. Infatti, divenne sindaco. E poi anche la moglie.

La Lega in Veneto è ormai un partito così, a germinazione. Stefania Buran, segretario di circoscrizione, si distinse quando un africano fu invitato verbalmente da un cittadino a tornarsene a casa, perché lei si avventurò in spericolati distinguo: “Non si perde occasione di gridare al razzismo. Mi risulta che l’aggressore non è nuovo a cose simili. Vogliano far passare il messaggio che la Lega e Salvini incitino al razzismo? Non è così”. In AscoHolding, cassaforte dei Comuni di Marca, è rimasta per dieci anni Silvia Rizzotto, sindaco di Altivole, prima consigliere, poi presidente, ora candidata. Il governatore uscente non si scompone se a Verona il primo posto in lista è dell’ex vicesindaco di Villa Bartolomea, Mirko Bertoldo, che al momento di votare una mozione sul caso Diciotti a sostegno di Salvini, secondo il verbale di seduta, aveva alzato il braccio destro facendo il saluto romano.

E c’è l’immarcescibile Stefano Valdegamberi, una vita passata ad anagrammare sigle come Dc, Ccd, Udc, oltre a Zaia Presidente che gli valse la rielezione nel 2015 (ma passò al Misto per controbilanciare un transfuga Pd). Aveva un problemino: mai pagata la tessera leghista. Adesso l’ha presa e si è adeguato alle regole economiche di ingaggio. A Verona metà giunta segue le sirene di Zaia. Non solo il vicesindaco Luca Zanotto (lista Salvini), anche due assessori neo-convertiti alla Lega, Filippo Rando (da Verona Domani) ed Edi Maria Neri (da Verona Pulita). A dimostrazione dell’interesse di Zaia per le multiutilities c’è un posto anche per Filippo Rigo, presidente Agsm Lichting, e per Andrea Croce (lista degli amministratori), che è fratello di Michele, ex presidente Agsm. A Vicenza c’è il presidente uscente del Consiglio regionale, Roberto Ciambetti. In Russia è famosissimo, considerato un amico di Putin perché nel 2018 portò a un convegno il patto di governo Lega-Cinquestelle con l’impegno a far cadere l’embargo.

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Regionali Veneto, assessori uscenti e “pancia” del popolo leghista: la guerra di Salvini a Zaia è nelle liste e mira a limitare il potere del Doge

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