Nell’estate della pandemia, ad alcuni leader con percentuali di consenso in caduta libera e senza un Viminale da cui poter quotidianamente urlare inneggiando al prima-gli-italiani, la figura del migrante untore dev’essere sembrata l’unica maniera efficace con cui rispolverare la più classica strumentalizzazione sovranista. E infatti, nelle settimane tra luglio e agosto, abbiamo letto giornali colmi di titoli che raccontano un’invasione perenne, con orde di ‘clandestini’ (cit.) – quando la si smetterà di usare questo vocabolo-stigma? – tutti positivi al Covid, secondo la propaganda xenofoba, e pronti a contagiarci.

E a esacerbare ancor più i toni, è arrivata sabato la notizia di un’ordinanza, del tutto illegittima e inapplicabile, di Nello Musumeci – Presidente della Regione Siciliana – che promette di vietare l’ingresso in Sicilia ai migranti che raggiungono le coste dell’isola, arrogandosi poteri non suoi e cercando di spostare su altre regioni obblighi che devono rimanere equamente distribuiti.

Un’ordinanza che di fatto vuole essere una provocazione e che svela la grave inadeguatezza di Musumeci nella gestione dei provvedimenti del governo centrale rispetto alla diffusione del Covid e il tentativo disperato di coprire le sue responsabilità in merito all’assenza di controlli in Sicilia durante questa particolare stagione turistica, con la solita modalità che punta il dito contro le fasce più vulnerabili, aizzando l’ansia sociale in una delicata fase pandemica.

Sono mesi estivi insoliti questi. Mesi sospesi durante i quali si ha voglia di tornare alle attività normali e consuete con la consapevolezza che è importante proteggersi e che con l’altro, con gli altri, occorre continuare a tenere il distanziamento sociale necessario per evitare eventuali contagi. E’ in questa fase di transizione, di disorientamento, di slanci ma anche di paure che la speculazione politica sui migranti è ancora più irresponsabile.

In realtà, come spesso accade intorno al complesso tema delle migrazioni e dell’accoglienza, non c’è nulla di vero nelle invettive sventolate da alcuni leader sovranisti che mostrano, da mesi, segnali evidenti di sofferenza.

Ed è dalle parole di Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità e membro del comitato tecnico scientifico, che si svela l’ennesimo tentativo di propaganda sulla correlazione migranti e Covid.

Il Professore ha dichiarato che “il 25-40% dei casi sono stati importati da concittadini tornati da viaggi o da stranieri residenti in Italia. Il contributo dei migranti, intesi come persone che fuggono da condizioni disperate, è minimale, non oltre il 3-5% sono positivi”, e ha aggiunto “una parte si infettano nei centri di accoglienza dove è più difficile mantenere le misure sanitarie adeguate”.

Dunque, la percentuale di positività tra i migranti non solo è marginale ma come sottolinea Locatelli capita che una parte di coloro che arrivano venga successivamente contagiata all’interno dei centri di accoglienza, quindi su suolo italiano e in strutture in cui dovrebbero essere garantite misure efficaci di prevenzione al contagio.

Uno dei più autorevoli esponenti del CSS, impegnato nelle settimane più difficili della pandemia nel nostro Paese, evidenzia quindi un’altra criticità, non trascurabile, che ha pesato nel controllo di questa lunga fase post lockdown, e che ci riporta ad una responsabilità più ampia rispetto alla tutela delle categorie fragili: la mancanza di linee guida e protocolli chiari durante la pandemia da Covid-19, all’interno dei centri di accoglienza.

Una generale improvvisazione è emersa da uno studio che ha coinvolto oltre 200 centri di accoglienza, realizzato dalle organizzazioni riunite dal Tavolo Asilo Nazionale e del Tavolo Immigrazione e Salute tra cui Caritas italiana, Arci, Medici senza Frontiere e Emergency.
Il lavoro di monitoraggio ha evidenziato che, almeno fino alla fine di luglio, per i centri di accoglienza non esistevano linee guide nazionali e indicazioni precise per gestire la permanenza dei migranti, con l’obiettivo di tutelarne la salute ed evitare la trasmissione del virus. Sono emerse diverse difficoltà legate al reperimento di DPI, all’isolamento dei casi positivi e di conseguenza all’ingresso di nuove persone in arrivo.

E’ solo alla fine di luglio che viene approvato il documento con le indicazioni operative per la gestione di strutture con persone ad elevata fragilità e marginalità socio-sanitaria nel quadro dell’epidemia di Covid-19, elaborato dall’Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e per il contrasto delle malattie della Povertà.

La mancanza di una regia centrale nell’applicazione delle misure anti-Covid nei centri di accoglienza, nei mesi in cui l’indice di contagio in Italia ha segnato i picchi più alti, ricorda quanto accaduto nelle Rsa. Fortunatamente in questo contesto con numeri contenuti e marginali, è importante ribadirlo, anche se è preoccupante rilevare che in situazioni di emergenza sanitaria, le fasce più deboli continuano ad essere le meno tutelate e quelle colpite da interventi tardivi e improvvisati.

Nonostante l’avvicendarsi degli esecutivi e la nota ciclicità del fenomeno migratorio, quello che si osserva è un atteggiamento politico immutato. In questa fase delicata infatti, a pesare sono state anche le conseguenze delle scellerate politiche migratorie consolidate durante il governo Conte I e rimaste, ad oggi, senza revisioni.

I decreti sicurezza hanno infatti deciso, tra le altre cose, lo smantellamento degli Sprar – i sistemi di protezione per richiedenti asilo e rifugiati – le cui diretta conseguenza durante l’emergenza Covid sono state il sovraccarico/affollamento dei centri di accoglienza già al limite del collasso, dove distanziamento sociale e misure di protezione risultano ancora più complicate, e il moltiplicarsi di casi di persone finite per strade nei mesi di lockdown, in cui la salute collettiva dipendeva dalla salute del singolo, dalla necessità di isolamento, dalla prevenzione e dal controllo capillare dei casi positivi.

Non è stato visionario optare per la riduzione di risorse economiche destinate alle politiche di accoglienza. Non lo è stato affatto. E la responsabilità è tutta di una classe politica incapace di gestire un fenomeno, quello migratorio, che il nostro Paese conosce da decenni, e che sarebbe ora di affrontare nella sua globalità, comprendendone le criticità ma valorizzando le infinite opportunità.

E’ arrivato il momento di smetterla di abbinare alla parola migrante gli stigma peggiori.

I migranti che arrivano in Italia via mare ricevono controlli sanitari e screening cui nessuno altro cittadino è sottoposto. Ciascun migrante viene infatti sottoposto a tampone e a un periodo di quarantena.

Le misure di controllo e prevenzione messe in atto sono giustamente rigorose.
E allora che senso ha disperderle nella successiva fase di accoglienza? Non è evidente, come il disastro Rsa ci ha dolorosamente insegnato, che mescolare positivi con non positivi è la prima cosa da non fare nel mezzo di una pandemia?

La tutela della salute di tutti passa dalla messa in sicurezza di ognuno. Nessuno escluso.
E il fatto che dai recenti errori non si impari e anzi ci si incaponisca agitandoli per tornare a crescere in consensi elettorali, è un gioco sporco. E’ qualcosa che non possiamo più permettere.

Il nostro Paese merita una politica composta, lungimirante, che si prenda cura delle fasce più vulnerabili per la tutela di tutti e che abbia tra i suoi obiettivi la riduzione di marginalità e ghettizzazione. Non è a suon di invettive sguaiate che si governa e si trovano soluzioni ai problemi. La pandemia ha cercato di insegnarcelo, ma non tutti sembrano avere imparato la lezione.

Serve una politica che dimostri coraggio, tanto, visione e responsabilità.

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