Si è appena configurata all’orizzonte l’ombra vaghissima dell’agognato vaccino anti Covid-19 – nel carosello di annunci sospetti di strumentalizzazione geopolitica e/o protagonismi dei divetti da virologia – che subito dalle nostre parti lo si trasforma in piede di porco per scardinare il precario equilibrio politico. Per cui, se Giuseppe Conte parla di “farmaco consigliato” (quando verrà, se verrà), cercando di far convivere nella sua maggioranza anche le fisime superstiziose anti-vax della componente “Napalm 51” dei Cinquestelle, subito viene rimbeccato dal prode Matteo Renzi; che, affermando il principio di “obbligatorietà”, coglie l’ennesima occasione per l’opera di sistematico disturbo al fine di destabilizzare.

Ennesima riproposizione della favola dello scorpione che punge con l’aculeo velenoso la rana, mentre questa gli sta facendo guadare un fiume. E che, nell’insensatezza di un comportamento che, uccidendo il vettore, condanna all’annegamento il trasportato, dichiara: “è la mia natura”. La natura di un’icona della corporazione del potere (dove, in mezzo ai politicanti, sgomita tutto il peggio dell’avidità accaparrativa e del “servilismo volontario” nazionale, dalla Confindustria di Bonomi ai trombettieri dell’establishment in tenuta da giornalisti): una sorta di “assedio delle sette frecce”, con gli assedianti di Conte nella parte dei Mescaleros del film western Escape from Forte Bravo del 1953.

A questo punto, ritornando al mondo degli insetti (vedi lo scorpione-Renzi), verrebbe da dire che la sopravvivenza del governo alla morsa in atto, sfida la stessa logica politica un po’ come il volo del calabrone nega le leggi della fisica; secondo cui questo vespide non potrebbe volare, ma che lui ignora… e quindi vola.

Eppure l’opera sovversiva di filibustering da parte della combriccola renziana continua. Quanto testimoniano una serie di punzecchiature anti-governative all’opera su tutto il territorio nazionale. Come si può riscontrare dal piccolo osservatorio ligure. E qui entra in funzione la mantide religiosa, nelle fattezze di Raffaella Paita. Per cui era sbagliato ritenere che il raggiungimento dell’ambita presidenza parlamentare della commissione Trasporti avrebbe placato gli “animal spirits” (come Marx definiva il furore vorace della borghesia emergente) nella personalità complessa della signora. Niente da fare: l’invito del premier di riproporre a tutti i livelli coalizioni giallo-rosa, che confermino la compagine governativa rafforzandone la coesione interna, trova Paita impegnata a creare intralci, che dalla periferia aprano crepe nella compattezza nazionale.

Forte dell’esempio pugliese, lo ha riproposto per le Regionali liguri; mettendo nel mirino la lista Sansa con una contro-lista che ha per unico scopo quello di sottrarre voti a vantaggio del salviniano in pectore Giovanni Toti. Incurante della palese contraddizione di essere stata proprio lei ad aver proposto il nome di Ferruccio Sansa come leader della coalizione di centro-sinistra (remake della gag renziana di proporre il governo Conte per poi indebolirlo con quotidiani avvelenamenti dei pozzi). E a chi scrive sanguina ancora il cuore constatando l’appoggio dato, per insipienza politica o risentimento personale, alla macchinazione anti-governativa da chi aveva condiviso il disegno iniziale di creare alternative al pluridecennale sistema di potere in Liguria.

Fatto sta, l’opera continua senza tregua, utilizzando ogni opportunità per creare smottamenti nel fronte, in difficile gestazione, che si candida a ridimensionare il peso dei potentati collusi nel tenere a bada la società nazionale. E ogni occasione diventa un banco di prova per menare fendenti: è di questi giorni la notizia che non è stato risparmiato neppure il delizioso comune di Lerici, in procinto di rinnovare il proprio consiglio comunale oggi in mano ai totiani: l’alleanza di centrosinistra, che aveva buone chances di vincere la consultazione, è ora insidiata da una lista di disturbo. Su cui osservatori di territorio riconoscono le impronte digitali di una certa “Lady Macbeth della val di Magra”.

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Bonus ai politici, il lapsus di Tridico in commissione: “Non c’è stata un’informatica al ministro degli Esteri…”

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