“Del verbale del 3 marzo del comitato tecnico scientifico io ne sono venuto a conoscenza il 5“. E, dopo un’ulteriore valutazione, fu il Cts tra il 6 e il 7 marzo a “convincersi” che servisse chiudere l’intera Lombardia. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, in conferenza stampa, ricostruisce la cronologia degli eventi dei giorni più controversi della pandemia, rispondendo alle domande dei giornalisti riguardo il contenuto del documento diffuso poche ore prima su Alzano e Nembro. “Non posso riferire cosa ho detto agli inquirenti“, ha aggiunto, riportando solo fatti già riferiti alla stampa. In quel verbale, il Cts raccomandava al governo di istituire una zona rossa anche nella Bassa Valseriana, esattamente come già fatto nei dieci comuni del Lodigiano e a Vo’ Euganeo.

In un’intervista a Maddalena Oliva, a Il Fatto Quotidiano, Conte aveva già detto: “La sera del 3 marzo il Comitato tecnico scientifico propone per la prima volta la possibilità di una nuova zona rossa per i comuni di Alzano Lombardo e Nembro”. E lo ribadisce in conferenza stampa, dopo una giornata di attacchi, con la Lega che ne chiede le dimissioni. Conte prova a fermare le polemiche ripercorrendo meticolosamente le tappe: “Io vengo a conoscenza del verbale il giorno 5 e quel giorno fermandomi con i ministri a margine del Cdm valutiamo la possibilità di una zona rossa. A quel punto valutiamo l’opportunità di una consultazione con il Cts. Lo chiede il ministro della Salute a Brusaferro che la sera del 5 elabora un parere e a notte inoltrata lo manda anche a me – aggiunge – ci confrontiamo io e il ministro e lui il giorno dopo era a Bruxelles. Gli anticipo che sarei stato io al Cts il giorno dopo”.

In quelle ore, i numeri dei casi della Bergamasca crescono rapidamente e preoccupano gli scienziati. Intanto, nella notte tra il 4 e il 5 di marzo, carabinieri, finanzieri e militari sono pronti a cinturare i due comuni. “Avevamo predisposto la zona rossa ma avevamo un dubbio: con una situazione compromessa che senso ha istituire la zona rossa solo per due comuni? Con me alla Protezione civile c’era anche il segretario generale della presidenza del Consiglio. Da quel dialogo parte un supplemento di riflessione del Cts, che la mattina del 6 dispone dei dati aggiornati del 5. A quel punto li lascio liberi di valutare: loro si convincono che sia necessario adottare misure più restrittive”.

Dalla desecretazione dei verbali del comitato tecnico scientifico – resi pubblici sul sito della Fondazione Einaudi – è emerso come al 7 marzo gli scienziati avessero raccomandato “misure rigorose” solo per una intera Regione, la Lombardia, e 11 province. Definendo però misure meno stringenti per il resto d’Italia. “Il parere del Cts è del 7 e in poche ore ci confrontiamo con i ministri e gli enti locali – prosegue Conte – tra le due e le tre di notte io firmo il nuovo Dpcm con misure più radicali“.

L’8 marzo arriva il primo dpcm nel quale si chiude la regione Lombardia e 14 province: alle 11 indicate dal comitato (che chiedeva “misure rigorose”) si aggiungono Novara, Verbano Cusio Ossola e Vercelli. Dopo due giorni, con la “fuga” in treno verso sud, l’aumento dei contagi, il governo decide che quelle misure devono essere applicate in tutta Italia: ed è il lockdown.

IL DISOBBEDIENTE

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