“Il Comitato propone di adottare le opportune misure restrittive già adottate nei comuni della zona rossa anche in questi due comuni” con lo scopo di “limitare la diffusione dell’infezione nelle aree contigue”. I due centri abitati di cui si parla sono quelli di Alzano Lombardo e di Nembro. È il 3 di marzo e il Comitato tecnico-scientifico raccomanda al governo di istituire una zona rossa, sulla scorta di quanto già fatto coi dieci comuni del Lodigiano e con Vo’ Euganeo, anche nella Bassa Valseriana.

Il motivo è che nella Bergamasca i numeri legati ai contagi da Covid-19 preoccupano gli scienziati. “I due comuni – scrivono nella nota – si trovano in stretta prossimità del capoluogo e hanno una popolazione rispettivamente di 13.639 e di 11.522. Ciascuno dei due paesi ha fatto registrare attualmente oltre 20 casi, con molta probabilità ascrivibili a un’unica catena di trasmissione. Ne risulta, pertanto, che l’R0 è sicuramente superiore a 1“. Conclusione: l’area “costituisce un indicatore di alto rischio di ulteriore diffusione del contagio”.

Quando il documento arriva sul tavolo di Palazzo Chigi, il presidente del Consiglio chiede al Cts “ulteriori approfondimenti”. Lo conferma lui stesso in un’intervista a Maddalena Oliva, a Il Fatto Quotidiano: ” La sera del 3 marzo il Comitato tecnico scientifico propone per la prima volta la possibilità di una nuova zona rossa per i comuni di Alzano Lombardo e Nembro”. E ancora: “Mi arriva la sera del 5 marzo (l’approfondimento, ndr) e conferma l’opportunità di una cintura rossa”. Quanto al testo del verbale, secondo quanto riporta il Corriere della Sera, il 12 giugno Conte avrebbe risposto ai magistrati di non averlo mai ricevuto. Intanto, nella notte tra il 4 e il 5 di marzo, poco meno di 300 tra carabinieri, finanzieri e militari (136 unità di Truppe alpine, come è emerso in una relazione alla Camera) stazionano nella Bergamasca, pronti a cinturare i due comuni con l’aiuto dei volontari della Protezione civile. La seconda indagine del Cts, come detto, è nelle mani di Giuseppe Conte il 5 di marzo. A quel punto, però, nelle valutazioni del governo l’epidemia è già fuori controllo non solo nella Bassa Valseriana ma anche in buona parte della Lombardia. Da lì la decisione di fare di tutta la Regione, a partire da domenica 8 marzo, una “zona arancione”. Questa si differenzia dalla prima perché, come messo nero su bianco nel Dcpm del 25 febbraio, non presenta “la chiusura di tutte le attività commerciali”, la sospensione “dei servizi di trasporto di merci e di persone, terrestre, ferroviario”, “la sospensione delle attività lavorative per le imprese” e “la sospensione dello svolgimento delle attività lavorative per i lavoratori residenti o domiciliati”. Con la zona arancione, di fatto, non significa sigillare un’area come avvenne per il Lodigiano e Vo’ Euganeo.

Parte del contenuto del verbale del 3 marzo è venuto alla luce grazie alla richiesta di accesso agli atti del consigliere regionale di Azione, Niccolò Carretta, che a fine giugno aveva rivelato – sempre con un accesso agli atti – come negli ospedali bergamaschi tra novembre e gennaio fossero state registrate polmoniti causate da “agente non specificato”. Il documento del Cts, coperto per la maggior parte dagli omissis, gli è stato fornito da Regione Lombardia, con una lettera di risposta firmata dal nuovo direttore generale del Welfare, Marco Trivelli, subentrato a Luigi Cajazzo. Nella missiva, Trivelli difende l’operato della giunta guidata da Attilio Fontana e addossa la responsabilità della mancata zona rossa unicamente al governo: “Il potere extra ordinem“, scrive, “è da intendersi ripartito e necessariamente coordinato dal livello più alto, quello governativo“. E ancora: “Lo stesso presidente del Consiglio, il 25 febbraio”, ha ribadito “la necessità che ogni intervento locale deve necessariamente coordinarsi col potere centrale”. Così “il presidente della Regione Lombardia poteva intervenire ma solo nelle more del Dpcm e comunque coordinandosi con il potere centrale”. Con la conclusione che “in quel periodo i Dpcm si susseguivano con ritmo incalzante e ciò, di fatto, vanificava ogni possibilità di intervento da parte delle Regioni”.

Sappiamo, tuttavia, che le cose andarono diversamente. Intanto perché esistono due strumenti legislativi (per stessa ammissione dell’assessore al Welfare, Giulio Gallera, il 7 aprile, quando disse “in effetti la zona rossa potevamo farla anche noi”, zittito poi dal suo presidente con un “è un ottimo assessore ma come giurista un po’ meno…”) che consentono al presidente di Regione di intervenire “in caso di emergenze sanitarie e di igiene pubblica” con “ordinanze contingibili e urgenti“: sono l’art.32 della legge n.833/1978 e l’art. 117 del d.lgs n.112/1998, il primo, non a caso, richiamato dal governo già a partire dal decreto-legge n.6 del 23 febbraio. E poi perché, anziché insistere sull’istituzione della zona rossa, come hanno sempre sostenuto ex post (“noi volevamo farla, il governo no”), i vertici della Giunta a trazione leghista si sono dimostrati nei fatti sempre molto cauti. Il 2 di marzo, per esempio, Gallera sosteneva che era meglio isolare i positivi piuttosto che adottare misure più stringenti. Il 4 di marzo, grazie a un audio pubblicato dal Corriere della Sera, sappiamo che Fontana e il suo braccio destra al Welfare buttarono la palla di là, nel campo dell’esecutivo, con un “decidete voi se farla”. Sia come sia, sulle eventuali responsabilità di governo e Regione sta lavorando la Procura della Repubblica di Bergamo. Una parte dell’indagine dei magistrati guidati dal procuratore aggiunto Maria Cristina Rota, oltre alle morti nelle Rsa e alla gestione dell’ospedale Pesenti-Fenaroli, punta proprio sulla mancata zona rossa nella Bassa Valseriana.

Ciò che resta da chiarire – anche se si può dedurre – riguarda ciò che accadde con militari e finanzieri pronti a isolare Alzano Lombardo e Nembro. In particolare, i passaggi nella catena di comando che portarono, di fatto, al “rompete le righe” la mattina del 7 marzo. Quando la curva dei contagi si stava impennando e la zona rossa sfumò definitivamente. Ma questa, ormai, è già storia.

Twittere: @albmarzocchi

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