“In Germania questi assassini, perché così è la realtà, sono vissuti tranquillamente, nessuno li ha mai cercati, sono rimasti incensurati, questo mi dà un fastidio enorme. Ora c’è questo riconoscimento, lo apprezzo per l’impegno che abbiamo dato, per la memoria, però io ho il dovere di dirlo, perché mi rimane un osso in gola, altrimenti rimango strozzato”. Non si trattiene, al telefono con Ilfattoquotidiano.it, Enio Mancini, 82 anni, scampato a 6 anni al più feroce massacro nazifascista di civili in Italia, la strage di Sant’Anna di Stazzema. Oggi la Germania, per mano di Annette Walter, capo dell’Ufficio Cultura all’Ambasciata tedesca, in rappresentanza del Presidente della Repubblica Frank-Walter Steinmeier, lo ha insignito, insieme al superstite Enrico Pieri, del Cavalierato, con una cerimonia che si è tenuta proprio di fronte alla chiesa, lì dove, quel 12 agosto 1944, furono trovati la maggior parte dei 560 corpi trucidati dalle mitragliatrici e divorati dalle fiamme. Enio ha ringraziato la Germania per il riconoscimento ma ha messo i puntini sulle “i”. Per lui, già cavaliere al merito della Repubblica italiana e Medaglia al merito della Germania per il suo impegno, soprattutto con gli studenti, a favore della memoria, non processare i criminali nazisti nel loro Paese, è stato imperdonabile. “Il processo in Germania è stata una delusione e di questo c’è consapevolezza. Siete esempi di umanità: la Germania vi ringrazia di cuore per quello che avete fatto e per il vostro impegno nel diffondere i valori di pace e di fratellanza. Avete dato un grande contributo alla Germania e all’Europa”, ha commentato Annette Walter durante l’evento.

Gli spari in aria, la fuga, le grotte e la cioccolata – Era il 12 agosto quando la sedicesima divisione Reichsführer SS, guidata da fascisti locali, accerchiò da tre lati il paesino versiliese all’alba. Mancini aveva 6 anni: con la sua famiglia fu messo contro un muro, insieme a un altro centinaio di persone. Le mitragliette erano già puntate, ma all’ultimo momento un ufficiale nazista ordinò di spostare tutti a Valdicastello, sopra Pietrasanta. Incolonnati, i civili vennero affidati al controllo di un unico nazista, un ragazzo giovanissimo, che, rimasto solo con loro, gli ordinò a gesti di stare zitti e di scappare. Si erano già allontanati quando sentirono una raffica di mitra alle loro spalle. Si voltarono: il soldato stava sparando in aria. Per quanto raro, il gesto non fu un episodio isolato. Altri soldati dirottarono i colpi su delle pecore. Fu così che Enio e la sua famiglia si salvarono, ma per loro iniziò un periodo brutale, 40 giorni chiusi nelle grotte come animali, o, per usare le sue parole, “come zombie”. Con l’acqua razionata, senza cibo. Sulla pelle, le croste, i pidocchi, la paura. Paura che i nazisti tornassero per completare il lavoro. Per fortuna, gli unici a raggiungerli furono gli Alleati. Per Enio, da quel giorno, la libertà ha il sapore di una tavoletta di cioccolato.

La Germania ha archiviato il caso – “La Procura di Stoccarda ha archiviato il caso. Il procuratore disse che non sussistevano crudeltà nella strage, era un’azione militare. Non so come si possa affermare. Hanno ucciso i bambini, hanno sventrato una mamma che partoriva, se non è crudeltà quella, ragazzi, io non lo so. Tardivamente, in Italia giustizia c’è stata. In Germania no. Quando ci fu il processo a La Spezia nel 2004 venne un procuratore di Stoccarda, città dalla quale dipendevano i più numerosi condannati. Disse che avrebbero fatto il processo anche loro. Invece non fu così. Anzi, quel procuratore stesso, che aveva promesso di fare il processo, credo l’abbia tirata alla lunga. Penso a volte che l’abbia voluto fare apposta, in modo che intanto, con gli anni, i condannati passassero a miglior vita. Parliamo di dieci condannati all’ergastolo in Italia, in Germania rimasti incensurati. Questo mi dà un fastidio… anche per gli stessi che si sono impegnati al nostro fianco per chiedere giustizia”, dice Mancini al Ilfatto.it. Due interrogativi lo hanno tormentato per una vita. “Il primo era “chi” e il secondo era “perché”. La giustizia. Non per vendetta, ma per sete di giustizia che era essenziale. Anche in Italia l’abbiamo attesa sessant’anni. Dopo il rinvenimento dell’Armadio della Vergogna, questi fascicoli vennero spediti alle procure di pertinenza e io, insieme all’allora sindaco di Stazzema, e a Giovanni Cipollini (attuale presidente Anpi sezione Pietrasanta, ndr) andai a chiedere al procuratore di allora se potevamo vedere i fascicoli. Ci dette una risposta molto superficiale: “Che cercate? Ormai sono morti sia gli aguzzini sia i testimoni”. Feci un gesto scaramantico. Per fortuna arrivò questo procuratore nuovo, Marco De Paolis, e cominciò le indagini, portando avanti il processo. Noi non si voleva la galera, non ha significato alcuno. Anche dalla Germania non si voleva. Si voleva la condanna, questo sì, anche se simbolica”.

La ricerca del soldato che lo risparmiò – Per anni Enio ha cercato l’identità di quel soldato che lo risparmiò. “Nel 2010 andai in Germania a ritirare un’onorificenza e venne anche il nipote di un soldato. Disse che suo nonno mi aveva salvato la vita. Poi successivamente mi ha telefonato un altro nipote dalla Germania, che mi ha messo in imbarazzo, ora ce ne sono due, come è possibile? Ho fatto una ricerca, tramite amici tedeschi, penso che sia il secondo, che ancora non ho incontrato: apparteneva a quel reparto, il primo no. Il secondo mi ha detto che sarebbe arrivato a Sant’Anna perché voleva fare il percorso che aveva fatto suo nonno, però io non l’ho visto più. Si faccia pure vivo. Ma io ero un bambino e il soldato aveva come minimo 18 anni, pertanto ora avrebbero almeno 93 anni”.

La visita a Gerhard Sommer: “Volevo vederlo in faccia” – Quella non fu l’unica SS sulle cui tracce si è messo Mancini. L’altra era l’ufficiale Gerhard Sommer, che all’epoca dei fatti aveva 23 anni e che è stato uno dei dieci ufficiali condannati in Italia, rimasti impuniti in Germania. “Mi invitarono ad Amburgo a un convegno insieme a Marco De Paolis, quando c’era il processo a La Spezia. In quell’occasione mi dissero che ad Amburgo c’era Sommer, ricoverato in quel momento in una casa di riposo. Io cercai di andarlo a visitare, volevo andarlo a trovare, volevo parlarci, vederlo in faccia, chiedergli perché, perché aveva comandato quella strage. Ma la direttrice della struttura mi disse “Nein, nein, sono anziani, non bisogna disturbarli”. Mi ero presentato con amici tedeschi, che mi avevano accompagnato. Non mi hanno fatto entrare. Però fuori dalla clinica questi amici tedeschi appesero dei lenzuoli con su scritto: “Qui è ricoverato l’assassino dei bambini di Sant’Anna”. Lui non era malandato, stava ancora bene. In seguito ho saputo che alcuni dei suoi compagni anziani, ricoverati lì, lo avevano un po’ isolato. In qualche modo qualcosa ha subito”.

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