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di Andrea Marchina

Era il 2009 quando i fondatori del Movimento 5 Stelle radunavano le masse a suon di comizi e manifestazioni di piazza. Quelle masse di ex elettori che da tempo avevano abbandonato l’usanza di recarsi alle urne, nauseati da una classe politica che, nonostante avesse spinto l’Italia nel baratro, manteneva lo status quo di casta privilegiata e autoreferenziale.

Per i toni poco compiacenti verso quel sistema ammuffito che si reggeva in piedi da anni, e per la colpa di andare proclamando principi tanto democratici da essere considerati sovversivi, il Movimento ha avuto l’onore di ricevere, non senza un pizzico d’orgoglio, l’epiteto di ‘popolo del vaffa’.

Abbiamo assistito per nove anni ad accordi di palazzo e maggioranze tanto improponibili quanto unite da un obiettivo comune: escludere dalla scena questi sovversivi. Dopodiché, una volta al governo, anche il ‘popolo del vaffa’ ha dovuto imparare ad indossare giacca e cravatta, a tradurre i principi urlati prima in piazza poi dai banchi dell’opposizione in provvedimenti concreti e, sì, pure ad accettare qualche compromesso.

E, a loro modo, con difficoltà e passi falsi, tra un governo (caduto) e un altro (risorto dalle ceneri del Papeete), hanno dimostrato che, oltre a lanciare pietre e brandire le clave, qualche battaglia la sanno pure portare a termine (decreto dignità, reddito di cittadinanza, taglio dei parlamentari, Legge Spazzacorrotti, blocco della prescrizione).

Poi è arrivata la pandemia, trovando un Paese impreparato e un sistema sanitario inadeguato a reggere l’urto del contagio, frutto delle politiche di quei ‘competenti’ che nell’ultimo decennio hanno smantellato la sanità pubblica mentre facevano regali ai privati. Ed è qui che, dall’opposizione, la politica con la P maiuscola trova l’occasione per dare una bella lezione di competenza e civiltà a questi incapaci.

Tra le loro proposte ne spiccano alcune: la richiesta di chiudere tutto e riaprire tutto a giorni alterni; la distribuzione di svariati miliardi (prima 50, poi 10, poi 30, poi sorteggiando la cifra bendati); la distribuzione di 1000 euro con un click a chiunque li richieda (che ne abbia diritto o meno); oltre a varie forme di condono (edilizio e fiscale), nota panacea di tutti i mali. Questo per quanto riguarda la competenza.

Poi c’è la lezione di civiltà. Vedendo le loro proposte inascoltate (e non ne capiamo proprio il perché), le opposizioni si dedicano, un giorno sì e l’altro pure, ad attaccare il governo, anche in questo caso sorteggiando di giorno in giorno tra varie opzioni: l’accusa di aver attivato il Mes a tradimento (mai successo), la retorica del governo criminale, del regime e della censura, il ritornello delle elezioni. Ma anche in questo caso la strategia non sembra funzionare: il consenso nei confronti del governo sale, mentre il maggior partito di opposizione crolla a picco.

E allora si gioca l’ultima carta disperata. Il 2 giugno, mentre il Presidente della Repubblica invocava unità e collaborazione, la gente viene invitata a scendere in piazza e violare allegramente qualsiasi misura di protezione, ignorando il possibile rischio di creare un nuovo focolaio. Con zero proposte, nessuna critica e il vuoto più totale dei contenuti, ciò che resta è una vaga richiesta di dimissioni al governo a suon di cori, slogan e insulti.

A distanza di undici anni è ufficiale: il ‘popolo del vaffa’ ha cambiato volto. Siamo passati da un movimento giudicato antisistema, che in piazza faceva sentire la propria voce nel nome di idee molto precise (sebbene non sempre e non da tutti condivise), a un’opposizione che il sistema lo rappresenta e non vede l’ora di restaurarlo.

Il tutto condito da una nota di ironia: i nuovi piazzisti e i loro leader sono ormai così assuefatti dalla propria voce, mentre chiedono le dimissioni a questo governo, che loro stessi si sono dimenticati perché lo stanno chiedendo. Non resta allora che un ‘vaffa’ liberatorio: per questo non è richiesta alcuna competenza.

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