Quando viene catturata, Piera Pattani non ha neanche vent’anni. La incastra una spia. La vede mentre distribuisce volantini negli spogliatoi della fabbrica tessile Giulini e Ratti, a Legnano, nel Milanese. Li mette nelle tasche dei vestiti, con tutta la discrezione possibile: c’è scritto che è stato organizzato uno sciopero. Viene catturata insieme ad altri due partigiani. Tutti pensano che i nazifascisti li invieranno in Germania, ma non è così. “Con grande probabilità intervenne il proprietario della fabbrica, che era a favore dell’antifascismo. Riuscì a mettere in salvo tutti e tre. Inoltre, la Liberazione non era lontana. Stava cominciando a circolare l’idea che la guerra, dopo anni, stesse per finire”, racconta Primo Minelli, presidente dell’Anpi di Legnano. In effetti Piera Pattani l’ha detto, in occasione di un’intervista alla Camera del Lavoro: “La Resistenza l’ha fatta il popolo, l’abbiamo fatta in tanti: noi partigiani, ma anche i preti e le suore, i farmacisti e i medici e a volte anche i padroni”. E a volte anche i padroni. Non ha mai smesso di essere partigiana. Neanche quando, prima dell’esplodere dell’emergenza sanitaria, raccontava ai liceali i suoi ricordi di quel periodo. Piera è morta nei giorni scorsi a 93 anni, dopo aver contratto il coronavirus.

Operaia alla Giulini e Ratti, di famiglia antifascista, entra nelle file della Resistenza a 16 anni. Fa la staffetta partigiana per la Brigata 182 Garibaldi-Mauro Venegoni. Questa e la Brigata 181-Giovanni Novara contano circa 1200 persone. “Piera andava in corso XXII Marzo a Milano, dove c’era una tipografia clandestina, per ritirare le copie dei giornali. Poi li distribuiva alle fabbriche di Legnano e dell’alto Milanese. Era una grande conoscitrice del territorio e per questo aveva tutta la fiducia dei capi brigata”, spiega Minelli.

Per il suo primo compito le vengono date istruzioni precise: prendi il tram e scendi in piazza Cinque Giornate, per poi vai diretta in corso XXII Marzo. Soprattutto: non parlare con nessuno. “Lei, giovanissima, non era mai stata a Milano prima: non riuscì a riconoscere la piazza dove doveva scendere, ma pur di restare fedele alle indicazioni ricevute non chiese nulla a nessuno – ricorda Minelli – Girò sul tram per ore, fino a quando non si decise a chiedere quale fosse piazza Cinque Giornate”.

Tornava a Legnano in treno. Depositava i pacchetti su un vagone e andava a sedersi in un altro, per evitare di essere scoperta. Li recuperava solo al momento di scendere. “Non ha mai amato i microfoni, ma raccontava spesso di quei tempi, se qualcuno glielo chiedeva. Si ricordava anche i più piccoli particolari delle vicende”.

Si ricordava, per esempio, del 5 gennaio del 1944. La fabbrica Franco Tosi organizza uno sciopero generale che si svolge anche grazie al suo contributo di staffetta partigiana. In mattinata, come si legge sul sito dell’Anpi di Legnano, gli operai occupano gli uffici della dirigenza. Nel pomeriggio, arrivano due camion delle SS, mentre alcuni reparti fascisti controllano gli ingressi. Puntano ai rappresentanti sindacali e a chi è sospettato di essere antifascista. Ne arrestano sessanta. In tutto otto vengono inviati Mauthausen, dove arrivano in marzo, passando prima per il campo di transito di Fossoli, in provincia di Modena. Piera Pattani li conosceva tutti. Quando li portano via, nascosta fra la folla dei lavoratori c’è anche lei. Incrocia lo sguardo di uno di loro: capiscono entrambi che non si vedranno mai più.

Nel giugno dello stesso anno c’è la battaglia di Cascina Mazzafame, luogo simbolo della Resistenza legnanese. Il capo partigiano Samuele Turconi viene ferito e portato nel vicino ospedale di Busto Arsizio. Qui lo aspetta una fucilazione. Un medico però cercherà di prendere tempo per permettere ai suoi compagni di liberarlo. Piera Pattani, si legge nell’intervista rilasciata alla Camera del Lavoro nel 2013, si offre volontaria e raggiunge l’ospedale in bici. Dice di essere arrivata per salutare il suo fidanzato: abbraccia Turconi e riesce a dirgli che il giorno dopo, alle cinque, lo avrebbero liberato. Le guardie la aggrediscono, sbattendola contro il muro. “Ma il piano ha funzionato. Piera raccontò che forse le suore dell’ospedale erano state loro complici. Disse che avevano aggiunto qualcosa al vino o al caffè dei fascisti incaricati di fare sorveglianza, perché il giorno dopo questi svennero”, aggiunge Minelli. Forse, un sonnifero. “I fratelli Venegoni portarono via Turconi sulla canna della bici”.

Il 25 aprile del 1945 la Liberazione è una festa che coinvolge la cittadina in un’enorme sfilata. Piera è lì, insieme ai suoi compagni. “Negli anni successivi fu celebrata come partigiana combattente. Il suo ruolo era importantissimo: era sempre il vice dei capi partigiani, che cambiavano per non farsi riconoscere”.

Dopo la guerra, continua a lavorare nella fabbrica Giulini e Ratti e prosegue il suo impegno sindacale, ricoprendo ruoli all’interno della Cgil. In occasione del 70esimo anniversario della Liberazione il ministero della Difesa le ha conferito il diploma di partigiana. Il 5 novembre 2013 il comune di Legnano l’ha insignita della benemerenza civica. Questa la motivazione: “Per il coraggio e l’altruismo dimostrati durante la lotta partigiana, quando, nonostante la giovane età, non esitò a mettere in pericolo la sua vita per salvarne altre e per aver sempre sostenuto i valori della libertà e della democrazia“.

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