“Regione Lombardia ha ridotto gli accessi nelle Rsa il 23 febbraio, imponendo criteri severi e consentendo poi ai gestori di adottare precauzioni più rigide“. Così da Palazzo Lombardia replicano al rinnovato attacco del sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, che domenica 12 aprile alle telecamere di Che tempo che fa ha rinnovato le accuse di una ritardata chiusura alle visite degli ospiti nelle Residenze sanitarie assistenziali per anziani che avrebbe causato un alto numero di decessi per covid nelle strutture.

Il botta e risposta va avanti da diversi giorni ormai e le carte sono talmente mescolate che si fatica a capire chi dice la verità. Se lo faccia il governatore Attilio Fontana, quando, il 2 aprile, scrive che la Regione si è attivata “sin dalle prime avvisaglie” per chiudere le porte delle Rsa. O se lo faccia Gori quando sostiene che i gestori delle strutture bergamasche fin da fine febbraio avevano chiesto all’Agenzia di tutela della salute (Ats) locale di sospendere gli accessi dei parenti e si sono visti negare il permesso in virtù di disposizioni opposte della Regione.

La verità, seppure con un piccolo margine di imprecisione, nella sostanza la dice Gori. La discussione tra le strutture e l’Ats bergamasca, c’è stata eccome. E ha avuto come effetto che le strutture che volevano diminuire le possibilità di contagio non hanno potuto farlo per imposizione dell’autorità. Ma questo non per la chiusura delle porte ai parenti degli ospiti delle Rsa, bensì per la mancata chiusura dei Centri diurni integrati. Ovvero di quegli spazi integrati con le Rsa, ma dedicati a persone anziane che li frequentano solo di giorno per alcune ore, da cui il nome.

A denunciarlo sulla stampa nei giorni scorsi è stato tra gli altri Marco Ferraro, presidente della Casa Aresi di Brignano. “Appena sono stati segnalati i primi casi a Codogno, avevamo individuato il centro diurno come il pericolo maggiore. Così dal 23 febbraio abbiamo chiuso il servizio. Poi ci è arrivata la nota dell’Ats che diceva di tenere aperto, altrimenti avremmo rischiato di perdere la contrattualizzazione per interruzione di pubblico servizio – ha raccontato tra gli altri al Corriere di Bergamo il 4 aprile scorso —. Abbiamo tenuto fermo il servizio due giorni, poi abbiamo riaperto. Nei giorni seguenti abbiamo ricevuto un’ispezione dell’Ats, due funzionari accompagnati dalla nostra caposala hanno voluto accertarsi che il centro diurno fosse operativo e ci hanno rilasciato un verbale. È passata un’altra settimana prima che una nuova ordinanza ci permettesse di chiuderlo”.

Un caso isolato? Non si direbbe. Il Corriere riferisce infatti che una sorte analoga è toccata alla Fondazione Vaglietti di Cologno al Serio il cui presidente, Maurizio Cansone, racconta che avrebbe voluto sospendere il servizio per i diurni fin da fine febbraio ma che l’Ats non prevedeva questa possibilità “a meno di una giusta causa e il Covid non era tra queste. Noi ci siamo riusciti l’11 marzo perché hanno riconosciuto che, causa assenze, il personale che rimaneva doveva essere concentrato sulla Rsa”.

D’altro canto, l’Ats di Bergamo alle richieste del 23 febbraio rispondeva con una circolare in cui, riferendosi alle disposizioni di Ministero della Salute e presidente della Regione, precisava che “ad oggi non vi sono indicazioni che prevedono la chiusura dei servizi” residenziali, semiresidenziali, ambulatoriali e domiciliari. Segue raccomandazione a condizionare l’accesso all’utilizzo di dispositivi di protezione individuale, per altro difficilmente reperibili. Spazio anche per i parenti degli ospiti delle Rsa, che, in base alla “regola di accesso“, andavano ammessi in struttura “in numero non superiore ad uno per ospite”.

Caso a parte i centri diurni per disabili, sui quali l’incertezza è andata avanti almeno fino al 13 marzo, data in cui la Fp Cgil, nella persona del segretario Roberto Rossi, ha chiesto un chiarimento e una linea omogenea al Prefetto di Bergamo, manifestando la necessità che i centri venissero chiusi per tutelare al meglio pazienti e personale.

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